Sono pronti ormai da un mese i test rapidi per identificare le varianti del virus SarsCoV2 che stanno facendo risalire la curva dell’epidemia di Covid-19, ma non sono ancora utilizzati nei laboratori, anche perché non sono ancora rimborsabili.
Lo rileva il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca, e direttore del laboratorio Cerba di Milano.
Eppure, osserva l’esperto, “proprio in questo momento sarebbe necessario incrementare i test di screening che permettano di rilevare la sola presenza e alcuni anche di identificare una precisa variante, discriminandola dalle altre”.
I test rapidi scova-varianti permettono infatti di fare un primo screening sui tamponi risultati positivi al test molecolare, segnalando i campioni per i quali si deve fare il sequenziamento classico per avere la conferma definitiva. Utilizzare questi test su larga scala sarebbe “necessario – rileva – per individuare nuove mutazioni critiche per il riconoscimento degli anticorpi e aggiornare di conseguenza i vaccini e le terapie basate su anticorpi monoclonali”.
I test in commercio sono facilmente utilizzabili dai laboratori di analisi che già fanno i test molecolari in quanto i nuovi test rapidi scova-varianti si basano sulla stessa tecnica utilizzata per l’analisi dei campioni raccolti con i tamponi, ossia la reazione a catena della polimerasi (Pcr) o basata sull’analisi della temperatura (melting analisi) oppure integrata con l’utilizzo di sonde per il riconoscimento di specifiche mutazioni.
“Sono entrambi metodi rapidi, che danno il risultato in circa due ore, ed economici – osserva Broccolo – e il cui uso è consolidato in quanto vengono utilizzati anche per la ricerca di altri agenti infettivi”, tuttavia “ad oggi questi test molecolari sono eseguiti poco perché non rientrano ancora fra le prestazioni rimborsabili. È auspicabile – aggiunge – che vengano inserito nel nomenclatore tariffario di ciascuna regione come test reflex”, ossia come test di screening preliminare analogo a quelli utilizzati per altre malattie, come quelle della tiroide. In pratica “ogni tampone positivo con carica medio-alta dovrebbe essere sottoposto al test per rilevare la presenza o meno di una variante”, spiega l’esperto.
“Ad oggi – prosegue – il sequenziamento del gene che controlla la proteina Spike come unico metodo per identificare le varianti, procede troppo a rilento”.