Dall’inizio della pandemia le fasce giovani della popolazione sono sempre state quelle a cui l’infezione ha dato meno problemi. Da qualche tempo a questa parte, in coincidenza con la scoperta delle varianti, molti più giovani sono stati vittime di contagio da Covid.
Ad approfondire il discorso è intervenuto il dottor Pietro Colletti, infettivologo responsabile dell’Unità operativa complessa Malattie Infettive dell’ospedale “Paolo Borsellino” di Marsala: “I virus RNA, in particolare i coronavirus, evolvono costantemente mutando il loro genoma. Queste mutazioni del virus Sars-Cov-2 si sono notate, in realtà, sin dall’inizio della pandemia. La maggior parte di queste mutazioni non ha avuto alcun impatto significativo sulle caratteristiche del virus. Altre però gli hanno dato un vantaggio specifico, che sia sulla trasmissibilità oppure sulla capacità di eludere la possibilità di essere immunizzati“.
Ad oggi le varianti sono sottoposte ad un monitoraggio continuo da parte dell’Istituto superiore di sanità (Iss) attraverso alcuni laboratori, di cui 5 in Sicilia.
Le varianti, come sappiamo sono: britannica, brasiliana, sudafricana. “La variante inglese fu identificata per la prima volta nel Regno Unito nel 2020 a dicembre – spiega Colletti – Questa variante ha come caratteristica quella di presentare una maggiore capacità di trasmissione. È stato smentito però l’elevato rischio di re-infezione“.
Quello che è importante sottolineare di questa variante: “È il vantaggio di trasmissione rispetto ai ceppi selvaggi, perché ha la capacità di diffondersi che va dal 50% al 75% in più rispetto a quelli selvaggi. Questo naturalmente comporta la necessità di una maggiore prevenzione per dare più tempo per espandere la copertura vaccinale. Non ci sono prove, anzi non è dimostrato che questa variante sia associata ad una fuga immunitaria, cioè dal fatto che possa influire sull’efficacia del vaccino“, continua l’infettivologo. In altri termini sembra che il vaccino funzioni.
La variante sudafricana, invece, si differenzia sia dalla selvaggia che da quella inglese. In Sudafrica è il ceppo dominante, ha una maggiore trasmissibilità, ha delle implicazioni sull’immunità da precedente infezione che da vaccini. È molto preoccupante perché i vaccini potrebbero non essere efficaci. Per quanto riguarda la variante brasiliana ancora in Italia non ci sono stati casi.
Ma qual è effettivamente la situazione delle varianti? Risponde Colletti: “In questo momento in Sicilia, secondo una stima epidemiologica fatta a campione, sembra che la variante inglese abbia il sopravvento raggiungendo il 55% di tutte le infezioni. È stata registrata anche la variante sudafricana con pochissimi casi, l’1,7% dei campioni testati“.
Le varianti del coronavirus che si sono diffuse sul territorio italiano sembrano colpire di più i giovani. L’età media del contagio in questa fase, come riferito dal direttore generale della Prevenzione al ministero della Salute Gianni Rezza, è intorno ai 44 anni.
Ma perché adesso sembrerebbero i giovani ad essere i più colpiti? “In questo momento è vero che l’età mediana dei contagi è intorno ai 44 anni. Questo avviene perché essendo più contagiosa, la variante si trasmette più facilmente, anche nei bambini (pur avendo meno recettori per la proteina Spike). Non è legato alla presenza delle varianti. Il fatto è che essendo più capace di diffondersi, infetta anche di più. L’età mediana che si è ridotta è un dato esclusivamente epidemiologico e dovuto al primo effetto della campagna vaccinale sugli anziani, sugli ospiti dell’RSA e su tutto il resto della popolazione che piano piano si va vaccinando. Sono scomparsi praticamente i casi negli operatori sanitari, nelle strutture ospedaliere, nell’RSA e così via“.
Quindi la popolazione più giovane è davvero quella più soggetta a contagio: “Il target del virus, che prima era la popolazione in generale e in particolare quella più fragile, si modifica perché una parte della popolazione anziana in questi 12\13 mesi di pandemia si è infettata e buona parte si è vaccinata, comunque si è immunizzata. Questo dimostra come la variante inglese non superi l’immunità del vaccino. Se la variante si diffonde così rapidamente, chi viene facilmente infettato? La popolazione che continua la vita di relazione, socialità e che frequenta luoghi di aggregazione“, così conclude Pietro Colletti.