Adesso che AstraZeneca è stato vietato per gli under 60, si fermano pure le somministrazioni delle seconde dosi. In alternativa, verrà impiegato un vaccino a mRNA tra Pfizer e Moderna, per i quali non ci sono evidenze di trombosi nei vaccinati.
Questo cambio di strategia rende chiaramente marginale l’utilizzo di Vaxzevria nella campagna vaccinale. Su quali dati si basa quindi la scelta di utilizzare un vaccino diverso per la seconda dose? Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e coordinatore del Comitato tecnico Scientifico, parla di “studi già disponibili che documentano il vantaggio della combinazione”.
Da questi studi si evince che la somministrazione di una prima dose di Astrazeneca abbinata al richiamo con Pfizer produce una forte risposta immunitaria, senza particolare aumento degli effetti collaterali già conosciuti.
Sono tre gli studi che confermano la vantaggiosità del mix: il primo ha visto coinvolti 340 operatori sanitari, di cui 61 hanno ricevuto una prima dose di Astrazeneca e una seconda di Pfizer a distanza di 10-12 settimane. Da questa ricerca è emerso anche che la combinazione può fornire al sistema immunitario diversi modi di riconoscere il patogeno.
Il secondo, che ha coinvolto 676 persone, 441 hanno ricevuto una dose di Pfizer a 8 settimane di distanza da una dose iniziale di Astrazeneca e ha mostrato, anch’esso, pochi effetti collaterali e una forte risposta anticorpale a due settimane dal richiamo.
Il terzo, che ha coinvolto 26 persone, conferma che la vaccinazione eterologa Astrazeneca/Pfizer non è associata ad eventi avversi gravi e determina una potente risposta anticorpale e suscita reattività delle cellule T.