L’uso della cannabis (o canapa) a scopo terapeutico non è una scoperta recente. Numerosi effetti benefici sia a livello fisico che psicologico furono descritti nella farmacopea tradizionale cinese già oltre 4000 anni fa. E nella medicina Occidentale le prime descrizioni sul suo utilizzo medico risalgono al 1838 quando il medico irlandese William Brooke O’Shaughnessy descrisse i suoi notevoli successi riscontrati nel trattamento dell’epilessia, dei dolori reumatici e nel tetano.
Dopo numerosi alti e bassi e periodi di completo abbandono, legati anche alle controversie sull’uso della cannabis come stupefacente, le proprietà farmacologiche di questa pianta sono da alcuni anni nuovamente tornate al centro dell’attenzione, grazie agli interessanti risultati ottenuti nel controllo di sintomi quali nausea e vomito nei pazienti sottoposti a chemioterapia e refrattari o intolleranti ai farmaci tradizionali, nell’anoressia in malati di AIDS, oltre che in numerose patologie neurologiche quali la sclerosi multipla e l’epilessia.
Proprio in questa direzione si deve leggere la recente notizia che sorgerà in Sicilia il più grande stabilimento italiano di lavorazione della cannabis impiegata per usi farmaceutici e precisamente a Ragusa.
Per comprendere il valore terapeutico della cannabis è necessario fare un piccolo approfondimento sul modo in cui funziona ed è organizzato il nostro cervello. Infatti, il nostro organismo, ed in particolare il nostro sistema nervoso, possiede un sistema detto endocannabinoide, costituito da un gruppo di recettori che a seguito dell’interazione con delle molecole specifiche endogene (prodotte cioè all’interno dell’organismo, come l’anandamide) o esogene (provenienti da una fonte esterna al nostro corpo), i cosiddetti cannabinoidi, regolano numerose funzioni quali lo stato psicologico, il sistema immunitario, la digestione, il sonno, il metabolismo, la memoria.
Dalle infiorescenze essiccate della cannabis è possibile ottenere un complesso di molecole fitoterapiche esogene che, proprio come le molecole endogene, sono in grado di interagire con i recettori del sistema endocannabinoide del nostro corpo inducendone una modulazione.
Tra queste, le molecole più note sono il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD), ma all’interno delle infiorescenze sono presenti numerose altre molecole appartenenti alla famiglia dei terpeni e dei flavonoidi, molto importanti nel determinare l’effetto farmacologico compessivo in quanto aiutano il legame del THC e CBD ai loro recettori. Gli effetti indotti dall’utilizzo di queste sostanze sono molto vari e dipendono essenzialmente dalla percentuale delle diverse molecole presenti nel preparato e dalle modalità di assunzione.
Il THC è il principale componente psicotropo e psicostimolante, e la variabilità nel dosaggio di questo principio attivo è alla base dei diversi utilizzi della cannabis: ricreativo e medico. Il CBD, invece, non ha effetti psicoattivi, ma è in grado di contrastare quelli indotti dal THC ed agisce come agente anticonvulsivante, antipsicotico ed antinfiammatorio.
Ne risulta che la cannabis può essere un utile strumento nel trattamento di numerose patologie complesse, anche rare, per cui mancano opzioni terapeutiche convenzionali valide o quando gli effetti collaterali delle terapie tradizionali risultano eccessivi.
In particolare, la cannabis è stata studiata come possibile opzione terapeutica per il trattamento dell’epilessia da oltre trent’anni. La sua efficacia è particolarmente riconosciuta nel contesto di alcune forme di epilessia intrattabile come la sindrome di Dravet e di Lennox-Gastaut, in cui preparati a base prevalentemente di CBD hanno mostrato efficacia e sicurezza tali da ricevere l’approvazione della US Food and Drug Administration nel giugno 2018.
Per quanto riguarda il cancro, gli effetti anti-emetici del THC sono ben noti, così come gli effetti benefici sul sonno e sul dolore refrattario alla terapia con oppioidi. La cannabis ha inoltre un effetto citotossico documentato sulle cellule neoplastiche con risparmio selettivo delle cellule normali. Per tale motivo la cannabis viene utilizzata in tutto il mondo da molti pazienti con patologie neoplastiche, soprattutto a carico del sistema nervoso come i gliomi, anche se mancano degli studi scientifici rigorosi che ne attestino in maniera chiara l’efficacia. Gli effetti, comunque, sembrerebbero più spiccati in associazione alla chemioterapia convenzionale.
Già nel 1888 gli effetti benefici della cannabis sui sintomi della Malattia di Parkinson erano stati documentati e la spiegazione dal punto di vista fisiopatologico deve essere ricercata nell’elevato numero di recettori endocannabinoidi presenti a livello di quelle popolazioni neuronali coinvolte nel processo di neurodegenerazione tipico della patologia e che costituiscono i nuclei della base. Gli effetti dei preparati a base di THC e CBD sono utili nel migliorare la fluidità dei movimenti, il tremore, la rigidità, l’entità dei movimenti involontari, i sintomi psichiatrici associati e le turbe del sonno.
Anche in un’altra importante patologia neurodegenerativa come la Malattia di Alzheimer, diversi articoli scientifici hanno testimoniato l’efficacia degli estratti di cannabis nel migliorare alcuni aspetti della malattia come il deficit di memoria, l’ansia e la depressione, le turbe comportamentali, caratterizzate da aggressività ed agitazione, i disturbi del sonno. La ricerca di base inoltre ha evidenziato un possibile ruolo del sistema endocannbinoide nella regolazione dei processi di neuroinfiammazione e neurodegenerazione, aprendo così la strada ad importanti e suggestive prospettive di neuroprotezione.
Dopo la pubblicazione di numerose ricerche scientifiche internazionali, anche in Italia, il 30 aprile 2013, è stato approvato Sativex, il primo farmaco a base di endocannabinoidi, per il trattamento della spasticità muscolare refrattaria e del dolore neuropatico nella sclerosi multipla.
Risultati significativi sono stati documentati anche nel trattamento dei disturbi del sonno e dei disturbi urinari, come la necessità di minzioni frequenti nel corso della giornata, presentati dai pazienti affetti da questa patologia. Ulteriori ricerche, inoltre, hanno suggerito un possibile ruolo protettivo del CBD nella sclerosi multipla contro i danni, mediati dal sistema immunitario, alle cellule del sistema nervoso, tramite azione specifica e sullo stress ossidativo.
Infine, è interessante notare che in tutti gli studi finora prodotti, i derivati fitoterapici della cannabis sono risultati sicuri, senza problemi di abuso, dipendenza o tolleranza dell’effetto. Gli effetti collaterali inoltre, quando presenti, sono generalmente lievi e transitori, e sono caratterizzati soprattutto da capogiri, fatica, sonnolenza e secchezza delle fauci.
È giusto ricordare, comunque che secondo il DM 9/11/2015 «la prescrizione di cannabis ad uso medico in Italia riguarda l’impiego nel dolore cronico e di quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; nella nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV; come stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa; l’effetto ipotensivo nel glaucoma; la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette.
In conclusione, è possibile affermare che i derivati della cannabis sono un interessante ed importante alleato terapeutico sempre più a disposizione del medico e del paziente, con un ottimo profilo di tollerabilità e degli effetti terapeutici di notevole impatto. Sono necessari comunque ulteriori studi per approfondire il ruolo ed il funzionamento del sistema endocannabinoide nell’ambito dell’organismo umano e per meglio definire i vasti campi di applicazione di questi preparati fitoterapici, da alcuni definiti come l’aspirina del 21° secolo.
(Dottore Daniele Lo Coco, dell’U.O.C. Neurologia, Ospedale Civico ARNAS Palermo).