Scontri sui social tra componenti dell’OMS e del CTS nazionale. Certo è che la discussione invece che porsi su un piano scientifico è stata data in pasto all’audience come nei peggiori talk-show che imperversano nella televisione italiana e con considerazioni che poco hanno di scientifico fino a trasformarsi in veri e propri insulti. Probabilmente i media hanno un effetto deleterio su alcuni (ormai diventati molti) rendendoli protagonisti in modo eccessivo.
Una discussione scientifica è difficile sostenerla secondo i canoni del rigore metodologico se ogni momento si riversano pensieri e impressioni personali prive di una effettiva conoscenza dei fenomeni, probabilmente costretti proprio per il protagonismo conquistato, quasi come rivalsa di una vita di lavoro senza riflettori mediatici. Credo che almeno alcuni di noi, per osservare divertiti la miseria umana, hanno come riferimento il buon Crozza che riesce ad esprimere il massimo anche quando qualcuno in effetti sembra già una caricatura nella vita quotidiana. Ne escono sconfitti non i veri scienziati naturalmente ma la gente che pensa di poter sentire parlare di COVID-19 come parla la D’Urso delle uscite di Sgarbi (3 milioni di spettatori e 10 milioni di contatti la dicono lunga su quello che fanno i media sui cervelli di noi italiani).
Cercherò di mettere un po’ d’ordine col rigore metodologico scientifico che appartiene alla mia professione di professore universitario, clinico e ricercatore sapendo bene che ogni affermazione scientifica è opinabile e da sottoporre a verifica sperimentale quando è il caso. Una premessa appare indispensabile per il grande pubblico e per i professionisti che non si occupano di metodologia clinica e della ricerca: la verità scientifica è vera fino a quando non viene confutata da nuove prove che la rendono una verità superata. Pensiamo per esempio alle scoperte di Einstein e del bosone di Higgs che rappresentano dei cambiamenti epistemologici (cioè radicali, che sovvertono le verità fino a quel punto declamate) o alla medicina basata sulle evidenze che demolisce l’esperienza clinica come motore fondamentale di tutte le decisioni sul paziente. Ma andiamo al nocciolo della questione: in atto ci si divide nettamente tra chi sostiene che il virus abbia perso capacità di diffondersi e dare patologia e chi invita alla massima prudenza. C’è chi sostiene che il virus sia cambiato con “un costante incremento di casi con bassa o molto bassa carica virale” e che “clinicamente non esiste più” perché qualche “famoso” anestesista, nonché medico di personaggi famosi, non vede più pazienti ricoverati in terapia intensiva.
Adesso parliamo di fatti: – nel marzo scorso paesi come Vo’Euganeo avevano il 60% di positivi al coronavirus senza avere sviluppato malattia (i cosiddetti asintomatici), quindi il virus non da nella maggior parte dei casi malattia, sin dall’inizio della sua storia.
– Le mutazioni genetiche del virus possono portare anche nad un aumentato impatto della malattia, perché il virus non sarebbe riconosciuto da chi ha sviluppato gli anticorpi neutralizzanti, quindi richiamare a mutazioni genetiche (peraltro non rilevate in modo significativo) per giustificare l’attuale situazione è qualunquismo pseudoscientifico.
– esiste in epidemiologia il cosiddetto survivorship o survival bias, è in sostanza l’errore logico di concentrarsi sulla popolazione che ha superato un processo di selezione, trascurando coloro che non lo hanno ancora subito. Ciò può portare a conclusioni false in diversi modi come per esempio ritenere che quello che stiamo vedendo adesso non sia il risultato di un processo drammatico di selezione dei più esposti e predisposti alla malattia, scemato solo perché il cosiddetto lockdown ha interrotto la catena di diffusione e, la maggiore attenzione ai focolai, la diffusione nei soggetti più a rischio.
Permettetemi alcune considerazioni personali. Non abbassiamo la guardia, il SARS-CoV-2 non è stato ancora sconfitto. La giostra dei virologi, epidemiologi, infettivologi e intensivisti sta scemando come sembra scemare la capacità di offendere del coronavirus pandemico. Poco o nulla si dice sui tanti internisti italiani che hanno gestino migliaia di pazienti COVID-19 con le loro comorbidità e con risultati più che eccellenti. Ad ogni modo, il virus circola ancora adesso e miete vittime nei paesi che non hanno provveduto ad operare scelte di politica sanitaria come quelle adottate dal nostro paese e dalla nostra regione (credo che questa più che opinione sia una evidenza sotto gli occhi di tutti). Il lock-down ha portato ad un reale abbattimento della circolazione del coronavirus ma ancora non sappiamo tante cose tra cui cosa succederà se non riteniamo che il principio di precauzione (mascherine e distanziamento) sia preminente sul menefreghismo e la sottovalutazione del fenomeno gravato da un elevato livello di incertezza.
Alcune evidenze si profilano all’orizzonte come per esempio che il virus spesso non da alcuna sintomatologia perché è più importante per lui diffondersi che provocare manifestazioni cliniche, che la malattia è in alcuni soggetti una malattia sistemica come alcuni virus sono in grado di dare ma dove più di altri conta la reattività dell’organismo ospite, che la malattia più che essere polmonare colpisce il polmone come altri organi e che l’alterazione del rilascio di ossigeno da parte dei globuli rossi può essere una ipotesi plausibile ((allego un recente articolo pubblicato su una rivista internazionale con due colleghi del nord), scambiata da molti specialisti per insufficienza respiratoria da interstiziopatia polmonare e con un conseguente trattamento totalmente inadeguato e dannoso. Altri dati ci portano a pensare che il trattamento antivirale sia necessario in tutti i casi ospedalizzati o con sintomi, che il trattamento coadiuvante con la vitamina C svolga un ruolo rilevante e che, infine, ogni possibile trattamento (anche con plasma iperimmune) debba essere fatto all’inizio del quadro clinico e non quando quest’ultimo si aggravi.
Tanto ancora c’è da sapere ma i media non ci aiutano a fare chiarezza generando spesso solo tanto rumore. Il buon Pirandello da girgintano doc ha già detto “è meglio avere dubbi che false certezze” altrimenti accontentatevi di “Cosi è se vi pare”.