“Il Covid, non ci sono dubbi, ha acuito maledettamente il peso del lavoro dei professionisti della sanità: se ci riferiamo agli infermieri italiani, non ci inventiamo nulla, e certo non drammatizziamo, se li definiamo ancora oggi sottopagati, precari e ingabbiati in realtà dove non riescono a esprimere il loro potenziale. Poiché, nei fatti, non vengono messi nelle condizioni di farlo.
La pandemia, questa non è certo retorica, ha scoperchiato un pentolone bollente, mettendo a nudo casi scabrosi.
La realtà a cui siamo di fronte ci preoccupa non poco: è notizia di qualche giorno fa che in Toscana, avremmo toccato la soglia del 25% per quanto riguarda l’emorragia di personale sanitario in tutta la Regione. In particolare sono i pronto soccorsi a essere in debito di ossigeno, con numerose dimissioni di infermieri, medici e altri operatori negli ultimi mesi.
Non bastavano le continue fughe di colleghi dalle RSA, con Lombardia, Veneto, Piemonte ai primi posti. Ora emerge anche una nuova piaga da debellare, in una Sanità Pubblica già claudicante. Chi sopperisce alle carenze di personale di fronte a una situazione del genere, a prova di bomba, in un Paese dove tocchiamo circa 80mila unità di infermieri che oggi mancano all’appello? In poche parole, numerosi professionisti della sanità decidono, giorno dopo giorno, di dimettersi dai loro incarichi nei pronto soccorsi: turni massacranti in virtù di ricambi a singhiozzo causati della cronica carenza di colleghi, paghe ridicole, scarsa valorizzazione, pericolosa superficialità, a loro modo di vedere, problemi per la sicurezza personale in termini di rischio di contagi negli ultimi tragici mesi della pandemia.
E in tal senso le nostre indagini vengono oggi corroborate anche dai dati della FNOPI, che ha confermato che in Italia, in questo momento, partiamo da una necessità di copertura di 63mila infermieri (erano 53mila prima del virus).
A questa cifra noi aggiungiamo gli infermieri di famiglia necessari, quelli indicati dall’AGENAS, uno ogni 2000-2500 abitanti, che si traducono in ben 24mila unità extra mancanti all’appello. Considerato che la Federazione, nei suoi conteggi, aveva già incluso i 9600 infermieri considerati inizialmente dal Dl Rilancio, ne mancano quindi ben 14mila, che vanno sommati ai 63mila.
Ed ancora vanno considerati quelli che devono dar corpo e sostanza alla disposta riorganizzazione delle terapie intensive italiane durante il periodo dell’emergenza. Cosa succede allora se anche la preziosa realtà del sistema emergenziale della nostra sanità pubblica comincia a perdere i pezzi in reparti nevralgici come un pronto soccorso? Come possono, i pochi colleghi rimasti sul campo, agire nel migliore dei modi, nel momento in cui si registrano aumenti di ricoveri, all’interno di ospedali spesso vetusti e fatiscenti? Soprattutto c’è davvero ancora da chiedersi perchè gli operatori sanitari arrivano al punto di rassegnare le dimissioni?”
Così Antonio De Palma, Presidente del Sindacato Nursing Up.
“Ci corroborano, nella nostra inchiesta, gli scritti di autorevoli testate, con i quali, solo per rinfrescare la memoria di chi li ha già letti, procediamo a ritroso partendo da settembre.
Ecco i casi del 2021, i più eclatanti, non certo gli unici.
Trentino Alto Adige, Bolzano: pronto soccorso del San Maurizio nel caos. Fuggi fuggi di infermieri che va avanti almeno da due anni e che ricade sulla qualità del servizio offerto ai pazienti.
Lombardia, Varese: gli infermieri del Pronto soccorso dell’Ospedale di Circolo non ci stanno più e chiedono in massa il trasferimento verso altre unità operative.
Personale sottonumero e troppi i pazienti da ricoverare, troppi anche (fino a 40) quelli che restano due o tre notti in Ps in attesa che si liberi un posto letto in un’area di degenza e che si sommano agli accessi quotidiani, aumentando esponenzialmente il numero di assistiti da monitorare e gestire da parte degli infermieri.
Campania, Napoli, Ospedale del Mare: ad aprile di quest’anno a lasciare l’ospedale del mare con le dimissioni è stato il primario di rianimazione Pio Zanetti, che ha preferito dedicarsi all’attività nel settore privato. L’ultimo in ordine di tempo è stato il dirigente apicale del reparto di chirurgia Pietro Maida che ha rassegnato le dimissioni. Ormai possiamo parlare di fuga dall’ospedale che doveva essere il più all’avanguardia della Campania e del Mezzogiorno.
Calabria: È fuga dal pronto soccorso a Rossano. E’ troppo il carico di lavoro che l’intero personale è costretto a sobbarcarsi. Ben 9 infermieri che si sarebbero ammalati, da ultimo gli ultimi due, su un organico di 20 unità. Personale stremato e sotto stress, che ha combattuto e continua a lottare , con i flussi di pazienti Covid e pazienti ordinari.
E in tutto questo, udite udite, le aziende sanitarie italiane, in questi giorni stanno sospendendo, senza colpo ferire, decine e decine di operatori non vaccinati.
Attenzione, perchè noi infermieri crediamo nell’evidenza scientifica e nella vaccinazione come strumento principale di prevenzione, e lo dico per scansare il campo da qualsiasi equivoco, ma ciò nonostante, nessuno deve infilare la testa sotto la sabbia di fronte alle incongruenze che si stanno verificando .
Insomma, qualcuno deve pur avere il coraggio di dire certe cose , perchè stiamo parlando anche di quei professionisti che hanno messo a repentaglio la loro vita per la collettività sociale durante tutto il periodo dell’emergenza.
Il nostro sindacato riceve decine di lettere ogni giorno da parte loro, e tra questi di sono quegli stessi colleghi che si sono infettati nel periodo clou della pandemia, perchè sforniti dei necessari presidi a tutela della loro sicurezza, ed ai quali lo Stato non ha garantito, per lunghe settimane, proprio quegli strumenti minimi dei quali avevano bisogno. Si signori, tra loro c’è anche quella stessa gente che tutti chiamavano eroi .
Dura tanto poco la nostra riconoscenza nei loro confronti ?
Nessuno di loro, ripeto nessuno, si è mai rifiutato di prestare servizio all’inizio dell’emergenza, nel momento in cui le aziende sanitarie non erano in grado di garantirgli gli strumenti di sicurezza, nessuno si è appellato alla legge, che pure esisteva e che gli avrebbe consentito di rinunciare ad eseguire le proprie prestazioni in carenza dei dispositivi di protezione necessari a proteggere la loro incolumità personale.
Alla fine stiamo parlando di quegli stessi infermieri, tra gli altri, che, dopo 24 ore continuative di servizio, non avevano nemmeno la forza di allontanarsi dall’ospedale e giravano per le corsie con il volto segnato dalle ecchimosi provocate dagli strumenti di prevenzione. Parliamo di gente che non ha visto i propri figli per giorni e giorni, di gente che si è infettata in servizio e che ancora oggi ne paga le conseguenze. Ebbene questa gente è oggi costretta a far mancare il pane a quei figli, nella generale indifferenza.
Per noi tutto questo non è degno di una società civile.
Non va bene quello che sta accadendo: mentre viene esteso il green pass a quasi tutti i principali ambiti della vita sociale, nessuno pensa a metter mano a quella norma tanto iniqua e disfunzionale, che le aziende sanitarie stanno trasformando in una sorta di mannaia, che consente loro allontanamento e privazione dello stipendio. Davvero non esistono differenti modalità di impiego di quei pochi sanitari , come prevede la legge?
Alla fine, chi è che verifica che le aziende sanitarie abbiano effettivamente provveduto, come indicato dalla norma, a cercare ogni tipologia di impiego alternativo dei sanitari, prima di allontanarli dal servizio?
Con la grave penuria di personale che oggi denunciamo è davvero accettabile di veder sospesi operatori sanitari, che invece sarebbero preziosi per il funzionamento dei servizi, beninteso in impieghi alternativi come la legge indica?
E che male hanno fatto i colleghi che restano? Parliamo degli infermieri o dei medici sui quali ricade tutto il lavoro che avrebbero dovuto svolgere i colleghi sospesi.
Chiediamo alle aziende sanitarie di effettuare una tempestiva ed approfondita revisione della propria organizzazione interna ,richiamando subito in servizio gli infermieri ed i medici sospesi, per attribuirli, come peraltro la legge indica, ad attività alternative, non a contatto con soggetti a rischio, come ad esempio la telemedicina, la tele comunicazione sanitaria e/o il servizio attivo nelle centrali operative ai vari livelli del SSN, oppure in ogni altro contesto aziendale laddove possa essere evitato il loro contatto diretto con pazienti e/o altri soggetti indicati dalla legge.
Naturalmente i nostri infermieri, quelli che restano in servizio, saranno i primi a denunciare le realtà scabrose, poco degne di un Paese civile, in cui sono costretti a lavorare, tra turni massacranti e strutture vetuste. Dove anche la sicurezza del personale, con una pandemia non ancora definitivamente alle spalle, può essere messa, ogni giorno, a serio rischio, in tanti modi.”