Nel pieno della seconda ondata della pandemia da Covid-19, molti pazienti positivi con sintomi lievi si ritrovano a casa in isolamento domiciliare. Sebbene solitamente in casi di raffreddamento, tosse e febbre l’utilizzo delle cure “fai da te” siano in uso per curare sintomi comuni, nel caso specifico della positività al Coronavirus è fortemente sconsigliato.
Rivolgersi al medico di famiglia è sicuramente la via più diretta per chi pur avendo sintomi non gravi ha bisogno comunque di alleviare la propria condizione.
In molti pazienti affetti dal virus Sar-Cov2 si manifestano sintomi ormai conosciuti, diventati sentori importanti della possibile positività per chi ancora non ne fosse a conoscenza. I più comuni sono: perdita del gusto e dell’olfatto, febbre, tosse, affanno e raffreddamento.
Convivere con questa condizione, seppur non grave da destare preoccupazione, può essere comunque fastidioso. Frequente è il ricorso quindi a farmaci da banco, come ad esempio il paracetamolo o integratori come la Lattoferrina per alleviarli, è bene però sapere che funzioni abbiano queste sul nostro organismo e in quali casi sia più adatto l’utilizzo di un determinato farmaco.
L’assistenza domiciliare in casi di sintomi lievi è un valido aiuto per i pazienti in isolamentoa casa ma anche un supporto che limita il rischio di affollamento delle strutture di soccorso di emergenza.
Approfondiamo alcune delle domande più comuni con il Professor Salvatore Corrao direttore dell’UOC di Medicina interna dell’ospedale Arnas Civico di Palermo e componente del Comitato tecnico scientifico per l’Emergenza Coronavirus.
In caso di positività al Covid- 19 con sintomi lievi in molti fanno ricorso a integratori come la Lattoferrina, la Quercitina o alla vitamina D, possono considerarsi un valido aiuto?
Non ci sono provvedimenti terapeutici di provata efficacia contro il virus che causa COVID-19. Una ricerca approfondita della letteratura scientifica tuttavia permette di evidenziare che ci sono sostanze in grado di stimolare il sistema immune contro le infezioni virali e di ridurre la risposta infiammatoria che coinvolge le citochine, quelle sostanze cioè che come l’Interleuchina-6 sono causa dell’infiammazione in COVID-19. Ci sono studi, che possiamo considerare prove di efficacia in tal senso, per la vitamina C e D, per la melatonina e per lo zinco. Quindi è plausibile che una integrazione con queste sostanze possa rappresentare un valido supporto sia in ambito di prevenzione che di terapia soprattutto nelle fasi iniziali. Ripeto che non c’è nessuna prova scientifica contro questo virus e che una corretta integrazione non deve farci dimenticare i provvedimenti semplici ed efficaci che ci permettono di evitare l’infezione come mascherina, distanziamento e lavaggio delle mani. Anche una sana dieta mediterranea leggermente ipocalorica e l’attività fisica moderata sono provvedimenti utili in ogni caso.
Stati febbrili prolungati a causa dell’infezione da Covid-19, il paracetamolo funziona?
Il paracetamolo non riesce a dominare il quadro febbrile della malattia COVID-19 e può essere utile per individuare quei casi simil-influenzali che invece sono dovuti al coronavirus. In questi casi, può essere utile l’utilizzo dell’aspirina che svolge anche funzioni antitrombotiche ma attenzione se si soffre di gastrite erosiva o di ulcera gastrica o duodenale, perché potrebbe favorire le emorragie intestinali.
In molti parlano dell’utilizzo del Cortisone, in che casi è indicato?
Solo ed esclusivamente nel caso ci siano i criteri di ospedalizzazione ovvero il bisogno di ossigeno- terapia. Un recentissimo studio ha dimostrato che il cortisone somministrato prima aumenta la mortalità mentre nei soggetti ospedalizzati per il fabbisogno di ossigeno la riduce soprattutto nei casi con maggiore compromissione polmonare. Inoltre, è sempre necessario controllare la glicemia (lo zucchero nel sangue) perché il cortisone ne può causare un aumento esagerato.
Utilizzo del Saturimetro, quali sono i valori di riferimento?
Una desaturazione sotto il 95% o una riduzione di più di 5 punti dopo un test del cammino di 6 minuti si deve segnalare immediatamente al proprio medico curante. Bisogna però fare dei distinguo: c’è chi soffre già di una patologia polmonare che porta alla riduzione di tali valori, quindi è sempre il medico che deve inquadrare il caso specifico.
Si parla molto dell’Eparina, sebbene non sia indicata per i soggetti non ospedalizzati, a cosa serve?
L’eparina è stata vista come un provvedimento utile per ridurre le coagulazioni dentro i vasi che caratterizzano i pazienti con COVID-19. Non ci sono evidenze di efficacia ma ricordo che la somministrazione sottocutanea di eparine a basso peso molecolare sono sempre utili in caso di ridotta mobilità e allettamento, condizioni queste che favoriscono le trombosi venose profonde e l’embolia polmonare. Per cui è importante valutare le condizioni di ogni singolo paziente per capire la necessità della sua prescrizione.