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Gocce di anatomia: il virus Covid-19 nelle lacrime di un bambino, l’Anatomia può chiarire il perché

 

Professore Francesco Cappello

Cari Lettori,

ha generato curiosità e interesse il caso del bambino di 11 anni che, ricoverato al Policlinico San Matteo di Pavia, ha presentato la positività al virus SARS-CoV-2 in un campione di lacrime. Il report del caso clinico, pubblicato su un’importante rivista scientifica internazionale del settore oftalmologico, è stato ripreso da molti organi di stampa, tra cui il nostro (https://www.ilsicilia.it/covid-trovato-nelle-lacrime-di-un-bambino-primo-caso-in-italia/).

Com’è possibile che il virus abbia raggiunto le lacrime? E, soprattutto, è una notizia che deve destare preoccupazione nella popolazione generale? Come in altre circostanze, l’Anatomia umana – se non ci restituisce risposte certe (ma nessuno di noi anatomisti ha doti di chiaroveggenza) – ci fornisce sufficienti indizi per provare a fare un po’ di chiarezza.

Ovviamente, dobbiamo partire dal ricordare brevemente alcuni dettagli morfologici dell’insieme delle strutture anatomiche presenti in corrispondenza della cavità orbitaria (ossia la cavità del cranio che accoglie il globo oculare e i suoi annessi) che prende il nome di “apparato lacrimale” (vedasi figura). Questo è costituito dalle ghiandole lacrimali, di cui ci limiteremo a dire che producono le lacrime, e dal sistema di deflusso delle stesse (le cosiddette “vie lacrimali”).

Tra queste ultime annoveriamo i punti, i dotti e i sacchi lacrimali e i condotti nasolacrimali. I primi (punti e dotti lacrimali), strutture pari per ciascun occhio, hanno la funzione di raccogliere le lacrime che hanno umettato la superficie dell’occhio esposta all’aria, proteggendolo dalla disidratazione, e di convogliarle verso il sacco lacrimale il quale, attraverso il condotto nasolacrimale, le riversa a livello del meato inferiore (il punto più basso) delle cavità nasali, a livello delle quali le lacrime contribuiscono all’umidificazione di questo ambiente esposto al ripetuto passaggio dell’aria.

Le vie lacrimali, strutture cave, hanno un rivestimento interno costituito da una tonaca mucosa: questa, nei dotti lacrimali, ha le caratteristiche istologiche della congiuntiva; viceversa, nel sacco lacrimale e nel condotto nasolacrimale, è analoga a quella delle cavità nasali.

Abbiamo già detto, in una delle prime puntate di questa rubrica (https://www.sanitainsicilia.it/gocce-anatomia-coronavirus-banale-influenza-unaggressione-autoimmune_408057/), di come il virus SARS-CoV-2 entri e si replichi nelle cellule epiteliali della mucosa nasale, essendo questo il suo habitat naturale e ideale per la replicazione, dando dapprima sintomi simili a quelli di una banale influenza e, soltanto in alcune circostanze, trovando prima la strada per invadere i polmoni e – se le condizioni immunologiche del soggetto lo favoriscono –scatenando poi una violenta reazione iperimmune/autoimmune contro i vasi, le cellule del sangue e altri bersagli anatomici del nostro corpo.

Abbiamo anche raccontato, sempre sulle “pagine virtuali” di questo giornale, uno dei motivi per cui i bambini sono in genere protetti dalle forme più gravi di malattia (https://www.sanitainsicilia.it/perche-il-covid-19-colpisce-meno-i-bambini-la-risposta-dallanatomia-umana_406530/).

Informandoci un po’ di più sul caso del bambino in esame, leggiamo che egli era stato “indirizzato alla Clinica pediatrica dell’ospedale pavese per indagini mediche, a causa di contatti prolungati e stretti con un membro della famiglia affetto da COVID-19 … il paziente era asintomatico, senza tosse, febbre, stanchezza, mal di gola o diarrea, e non era presente alcun segno di infezione del tratto respiratorio … le analisi del sangue hanno mostrato un leggero aumento dei valori delle transaminasi e l’esame ecografico del polmone indicava una lieve irregolarità pleurica, associata a interstiziopatia di grado lieve … (il bimbo era stato quindi) sottoposto a tampone naso-faringeo, risultato positivo al (virus della) COVID-19 … i clinici hanno deciso di tenerlo in osservazione e qualche giorno dopo il ricovero il paziente ha iniziato a lamentare sintomi oculari lievi come bruciore e lacrimazione, che hanno spinto i medici a chiedere una valutazione oftalmologica… non sono stati trovati segni di congiuntivite o cheratite, ma è stato raccolto anche un tampone congiuntivale, risultato anch’esso positivo (al virus).

Il bravo lettore può concludere da sé che si trattava di un classico caso di infezione paucisintomatica (tipica nei bambini) e che se non si fossero verificate le due circostanze descritte (i familiari che lo conducevano in ospedale, anche se asintomatico, e i medici che – spinti da curiosità scientifica – effettuavano il tampone sul secreto lacrimale in assenza di segni di congiuntivite o cheratite), mai tale caso sarebbe balzato agli onori della cronaca. E, quindi, chissà quanti altri casi analoghi sono sfuggiti all’osservazione dei clinici, in quanto evidentemente sopraffatti – soprattutto durante la prima ondata pandemica – da ben altre tipologie di problemi.

Andiamo adesso alle due domande iniziali: come c’è finito il virus nelle lacrime? E, soprattutto, dobbiamo preoccuparci per questo inusuale riscontro?

Riguardo la prima domanda, una possibilità, a dire il vero remota, è che il virus sia stato secreto dalle ghiandole lacrimali: ma la paucisintomaticità del caso clinico porterebbe ad escludere che il virus circolasse a livello ematico tanto da poter essere raccolto dalle cellule secernenti della suddetta ghiandola e riversato nel fluido. Un’altra possibilità, che era stata teorizzata nei primi mesi della pandemia ma non confermata, vorrebbe che il virus abbia un neurotropismo tale che gli consenta di viaggiare tramite le fibre nervose (sensitive e motorie) nel nostro corpo, ma siamo portati ad escludere che il virus abbia trovato questa strada per raggiungere la ghiandola lacrimale, in quanto troppo remota.

L’ultima possibilità, quella a nostro modesto avviso più probabile, è che il virus sia “risalito” dalle cavità nasali, attraverso le cellule epiteliali del condotto nasolacrimale, nel sacco lacrimale, e da qui sia finito nelle lacrime, le quali probabilmente ingorgavano i punti e i dotti lacrimali in quanto le vie lacrimali dovevano essere parzialmente ostruite dall’infiammazione (seppur di grado modesto) generata dal virus a questo livello.

Ad escludere le prime due ipotesi ci condurrebbe soprattutto il quadro clinico generale descritto prima (no tosse, no febbre, no stanchezza, no mal di gola, no diarrea, no segni di infezione polmonare se non una interstiziopatia di grado lieve), mentre a confermare la terza ci spingerebbero altri dettagli anatomici (segni e sintomi infiammatori lievi a livello oculare, come bruciore e lacrimazione, in assenza di infezione della congiuntiva e della cornea).

Ecco che, se è vero che la positività per il virus nel campione di lacrime raccolto è stato un reperto assolutamente occasionale e che le circostanze ci portano a ritenere come ipotesi più probabile che non quella che il virus ci fosse finito per via retrograda dalle cavità nasali, la conoscenza dell’anatomia di queste strutture del nostro corpo ci porta a fugare ogni preoccupazione e a concludere che – per il caso in esame – non siamo di fronte ad alcuna nuova e preoccupante manifestazione di questo virus.

Infine, una riflessione aggiuntiva: il collegamento anatomico tra la cavità orbitaria e le cavità nasali ricordato oggi ci fa riflettere su come l’occhio sia – al pari del naso e della bocca – una porta d’ingresso da non trascurare per i virus respiratori, incluso quello che causa la COVID-19, che – per il tramite delle vie lacrimali – possono raggiungere la mucosa delle cavità nasali e ivi proliferare. Pertanto, in assenza di dispositivi quali visiere od occhiali protettivi, il distanziamento interindividuale rimane una delle misure di prevenzione più efficaci, almeno tanto quanto la mascherina.

(Nota: l’immagine riprodotta è stata presa e modificata dal volume “Anatomia Clinica dell’Ellis”, prima edizione italiana (2019) a cura di Francesco Cappello. Casa Editrice Idelson Gnocchi, Napoli. Si ringrazia l’Editore.)

di Francesco Cappello
© Riproduzione Riservata
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