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Gocce di anatomia: l’ematoma subdurale di Maradona, prodromo dell’evento fatale?

Cari Lettori,

siamo stati tutti molto colpiti dalla notizia della morte di Diego Armando Maradona, che da poco aveva compiuto sessant’anni, tanto da far quasi sparire dalle cronache del racconto delle ore successive al suo decesso quanto era accaduto al campione argentino qualche settimana prima: un ricovero per un intervento alla testa per la rimozione di un ematoma subdurale.

Vorrei affrontare l’argomento, dal punto di vista dell’anatomista, delle possibili connessioni tra la patologia vascolare insortagli poco tempo prima e l’arresto cardiaco che – sembra – ha stroncato il “Pibe de Oro”, cominciando col fare un breve riepilogo delle principali informazioni anatomiche utili a comprendere – a chi eventualmente non lo avesse del tutto chiaro – cosa sia un ematoma subdurale e perché il suo verificarsi in un soggetto come Maradona avrebbe potuto far suonare più di un campanello d’allarme ai suoi fan.

La dura madre è una delle membrane di rivestimento del sistema nervoso centrale (dette “meningi”), assieme all’aracnoide e alla pia madre, che risiedono al di sotto della prima. Questi strani nomi sono stati assunti da queste strutture anatomiche in tempi lontanissimi e sono stati tramandati fino a noi. In particolare, inizialmente erano state identificate due “mater” (intese come membrane che avvolgevano, proteggendolo, il cervello e le altre strutture del sistema nervoso centrale): la “dura” (densa e fibrosa, e per questo anche detta “pachimeninge”, dal greco antico Παχύς, ossia “spesso”) e la “pia” (sottile e traslucida, anche nota come leptomeninge, dal greco antico Λεπτόν, ossia “sottile”). Solo successivamente è stata identificata la terza, posta nel mezzo tra le prime due, a cui – per il fatto che formi un sottile reticolato vagamente assomigliante alla tela di un ragno – fu dato il nome di “aracnoide”, dal greco Ἀράχνη, ossia il nome della figura mitologica della tessitrice Aracne, da cui poi derivò il termine sinonimico per indicare il ragno.

L’aracnoide aderisce esternamente alla dura madre, anche se questa aderenza non è molto salda. Invece, tra aracnoide e pia madre (la membrana più interna) vi è uno spazio, detto subaracnoideo, molto importante in quanto accoglie un liquido (detto cerebrospinale o cefalorachidiano) che ha il compito di “ammortizzare” la forza degli urti provenienti dall’esterno, per limitare i danni al cervello; inoltre, per il principio di Archimede, questo liquido alleggerisce il peso del cervello e delle altre strutture del sistema nervoso centrale che in esso sono “immersi”.

Tra i compiti della dura madre c’è invece quello di “stabilizzare” il cervello dentro la scatola cranica (l’insieme delle ossa del cranio che forma il contenitore che accoglie il cervello e numerose altre strutture strettamente correlate a questo). Questa funzione è molto importante in quanto qualsiasi movimento, più o meno brusco, della testa potrebbe tradursi in un repentino spostamento delle strutture anatomiche presenti nella scatola cranica, e questo potrebbe lacerarle e comprometterle anche irreversibilmente.

Questa stabilizzazione avviene in due modi: 1) la dura madre, internamente, forma dei “setti” che sepimentano la scatola cranica in spazi più piccoli (minore è lo spazio, minore conseguentemente è lo spostamento che un corpo in quello spazio può subire); 2) esternamente, invece, la dura madre aderisce tenacemente alla superficie interna delle ossa che formano la scatola cranica (endocranio).

Pertanto, mentre l’adesione tra dura madre e cranio è salda, quella tra dura madre e aracnoide purtroppo non lo è altrettanto. Questa situazione crea un potenziale rischio, in virtù del fatto che tra dura madre e aracnoide sono presenti quei vasi ematici, arteriosi e venosi, che stanno viaggiando – rispettivamente – verso e da il tessuto nervoso. Questi vasi non hanno una parete particolarmente spessa, soprattutto le vene, dato che provvedono le meningi (soprattutto la dura) ad avvolgerle e “proteggerle”. Pertanto, il ridotto spessore della loro parete li rende più fragili rispetto ad altri vasi di analogo calibro presenti in altre regioni corporee.

Ciò premesso, cos’è un ematoma subdurale, e perché si verifica?

Per ematoma si intende uno stravaso ematico, ossia una condizione in cui un vaso si rompe e il sangue ne fuoriesce, localizzandosi in uno spazio corporeo circoscritto. Un ematoma si definisce subdurale quando si forma nello spazio tra dura madre e aracnoide (spazio virtuale, generalmente assente poiché – come detto – dura madre e aracnoide normalmente aderiscono, ma che si concretizza proprio in circostanze come queste). Le cause possono essere le più varie, ma sicuramente la fanno da padrone i traumi, specie in soggetti con altre condizioni predisponenti quale ad esempio un’atrofia cerebrale (come quella che si può verificare nei soggetti con malattia di Alzheimer o negli alcolisti) la quale, riducendo il volume del cervello, “stira” verso l’interno le meningi, facilitando il distacco tra aracnoide e dura madre. Un altro fattore conosciuto come favorente l’insorgenza di ematomi subdurali è l’utilizzo di farmaci anticoagulanti, in quanto riducono la capacità intrinseca del sangue di formare coaguli (“tappi”) in caso di piccole lesioni alla parete dei vasi, moltiplicando l’effetto emorragico di queste lesioni, anche delle meno estese.

Maradona, per sua stessa ammissione, ha fatto uso per molti anni di cocaina, sostanza stupefacente che arreca numerosi danni in vari organi, tra cui il cuore, a livello del quale può provocare – tra le altre cose – aritmie. Inoltre, la cocaina favorisce la formazione di trombi a livello vascolare, aumentando il rischio di embolie e infarti a livello cerebrale e cardiaco.

Le cronache ci forniscono numerosi indizi per poter sostenere che Maradona fosse un soggetto cardiopatico, e la sua cardiopatia potrebbe proprio essere stata indotta dal prolungato utilizzo di cocaina. È quindi probabile che Maradona, come altri soggetti con problemi cardiovascolari dovuti alla dipendenza prolungata da cocaina, assumesse anticoagulanti al fine di prevenire l’insorgenza di fenomeni tromboembolici a livello cardiaco e cerebrale.

Rimanendo nel campo delle ipotesi, non abbiamo elementi per escludere che Maradona abbia potuto avere – a seguito dei problemi cardiologi e delle terapie a cui era sottoposto – episodi di vertigini, lipotimia o sincope, e che possa conseguentemente essere caduto, sbattendo la testa e procurandosi l’ematoma che lo ha condotto in ospedale per essere sottoposto a un intervento comunque difficile e rischioso – per varie ragioni facilmente intuibili – quale la rimozione dell’ematoma, al fine di ridurre la pericolosa e potenzialmente letale compressione della massa di sangue sul tessuto nervoso.

Insomma, coloro i quali conoscevano meglio la storia di Maradona avevano sufficienti elementi per desumere, dopo la notizia del suo ultimo ricovero, che lo stato di salute del cuore e del sistema vascolare del fenomenale campione d’un tempo fosse probabilmente ormai irrimediabilmente compromesso e che ci si sarebbe potuto aspettare il peggio in poco tempo. Se poi le repentine dimissioni dalla clinica nella quale era stato ricoverato e il ritorno a casa – probabilmente non preceduto un adeguato periodo di riabilitazione in ambiente ospedaliero – siano stati un azzardo dei sanitari che l’hanno avuto in cura, le numerose inchieste giudiziarie e giornalistiche apertesi dopo il suo decesso potranno forse un giorno chiarirlo.

di Francesco Cappello
© Riproduzione Riservata
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