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Gocce di anatomia: il “cervello viscerale”, sfatiamo alcuni miti

Cari Lettori,

ancora una volta, per costruire una nuova puntata di questa rubrica, traggo ispirazione dalle interazioni con alcuni di voi, e in particolare dalle domande di alcuni studenti che stanno attualmente seguendo il mio corso di Neuroanatomia, ormai giunto quasi al termine.

Parto da una domanda semplice: è vero che abbiamo un “secondo cervello” nei nostri visceri, e in particolare nell’addome?

La risposta potrebbe essere seccamente “no”, ma non sarebbe la risposta più corretta. Tutto sta nel “cosa vogliamo intendere col termine cervello”.

Dovrei aprire una parentesi e parlare dello sviluppo dell’embrione umano che, come molti di voi già sanno, ha molte analogie con lo sviluppo di embrioni di altri abitanti della Terra molto meno “evoluti” rispetto all’uomo, a partire da alcuni pesci, anfibi, rettili, uccelli e ovviamente mammiferi. Ma sarebbe forse troppo complesso farlo in queste poche righe a disposizione.

Preferisco allora partire da alcune osservazioni personali fatte al microscopio circa un ventennio fa quando studiavamo metodi per produrre “organoidi” in vitro. Gli organoidi vorrebbero essere una versione molto semplificata e miniaturizzata di un organo (o anche di una parte di esso) in grado di riprodurne tridimensionalmente – e il più realisticamente possibile – le caratteristiche microanatomiche richieste a fini della sperimentazione scientifica.

Facendo crescere cellule indifferenziate in coltura, via via che queste formavano una massa che si espandeva, ci accorgevamo che all’interno di esse si formavano dei “canali”: era un modo “intelligente” attraverso cui la massa di cellule veicolava il mezzo di coltura, nel quale era immersa, verso le parti più centrali di essa, permettendo quindi il nutrimento e gli scambi metabolici delle cellule più interne, e prevenendone in tal modo la morte. Era quindi uno stratagemma, per questa massa informe di cellule, di “sopravvivere” e “proliferare”.

Qualcosa di analogo – ma molto più sofisticato – avviene nel nostro embrione, seguendo un modello geneticamente programmato ed efficacemente perfezionatosi durante centinaia di milioni di anni di evoluzione della vita sulla Terra: una delle prime strutture che si forma negli embrioni (ben prima del sistema nervoso) è il canale alimentare, un condotto che dallo stomodeo (la “bocca” primitiva dell’embrione) raggiunge il proctodeo (l’estremità caudale) e nel quale il liquido amniotico viaggia unidirezionalmente, stimolando – attraverso le sostanze trofiche in esso contenuto – il differenziamento e l’organogenesi di cellule e tessuti non solo dell’intestino e degli organi strettamente connessi, ma anche di altre strutture apparentemente ad esso non collegate (ad esempio, le vie aeree e i polmoni).

In maniera analoga, sempre nel nostro embrione (e, ancora una volta, prima del sistema nervoso), si forma un sistema di canali chiusi (i vasi) all’interno dei quali inizia a scorrere dapprima un plasma e poi anche delle cellule (ematiche), spinte da un pezzettino di questo vaso che inizia a pulsare, avviando la formazione del cuore.

Mentre la circolazione ematica è un circuito chiuso, in quanto inizia e finisce in corrispondenza della pompa propulsiva (ossia il cuore), il canale alimentare è un tubo con due estremità che si aprono all’esterno (una d’ingresso e una d’uscita) e se la deglutizione (attività riflessa che si instaura fin dall’epoca fetale) spinge il materiale dalla cavità orale verso lo stomaco, serve “qualcos’altro” che poi lo faccia progredire per il resto del tragitto.

Questo “qualcos’altro” è una rete di cellule nervose (sic!) che si forma nella parete del canale alimentale e che regola – principalmente ma non esclusivamente – il transito lungo il canale, con una intensità e una velocità differenti ma adeguati all’espletamento delle funzioni del tratto del canale nel quale le sostante stazionano (ad esempio, nello stomaco per la digestione o nell’intestino per l’assorbimento).

Questa “rete di cellule nervose” ricorda per certi aspetti quella che – organogeneticamente e filogeneticamente parlando – si formerà poco dopo nel sistema nervoso, ossia cellule che “recepiscono” un segnale (sensibilità), cellule che “elaborano” questo segnale (integrazione) e cellule che “producono una risposta” (motricità) funzionale al mantenimento dell’omeostasi corporea.

E questa rete di cellule nervose (innervazione intrinseca) è in grado di funzionare (per un certo periodo, ovviamente) anche se il canale alimentare viene “prelevato” e “isolato” dal resto del corpo. Sorprendentemente, tra parentesi, anche il cuore ha questa capacità, ma su questo torneremo in una puntata successiva della nostra rubrica.

Il sistema nervoso, durante il suo sviluppo, emana le sue propaggini (i nervi) a tutto l’organismo, incluso il canale alimentare, per avere una piena percezione di quanto costantemente avviene in esso. Le connessioni che si instaurano tra i nervi e l’innervazione intrinseca del canale alimentare (così come, analogamente, tra i nervi e le cellule che regolano l’attività elettrica del cuore) è funzionale ad “avvertire” questi organi delle variazioni di stato complessive dell’organismo. Un buon esempio sono l’attività fisica e il sonno: è evidente che i nostri visceri non devono lavorare sempre con la stessa intensità, ci sono momenti in cui serve una maggiore attività e altri in cui ne necessita di meno, anche alternatamente tra loro. Il sistema nervoso li “avvisa” e quindi ne modula l’attività, adattandola alle esigenze funzionali dell’intero nostro corpo.

Al contempo, il nostro sistema nervoso è influenzato dai segnali elettrici che viaggiano nella rete di cellule nervose intestinali, attraverso la cosiddetta “sensibilità viscerale”, e questo riesce a condizionare non solo aspetti inconsci (quali ad esempio alcune attività metaboliche o immunitarie) ma anche consce (dal tono dell’umore alla soglia del dolore) attraverso delle complesse interconnessioni tra parti del nostro cervello la cui descrizione esula dallo scopo di questa rubrica.

Concludendo, è vero che abbiamo una sorta di “cervello viscerale” se per “cervello” intendiamo una riproduzione in miniatura (come se fosse un organoide…) di una rete di cellule nervose con “funzioni sensitive, integrative e motorie” autonome e indipendenti (per certi versi) dal cervello vero e proprio. Non è vero ovviamente che questo “cervello” è in grado di pensare in maniera cosciente né – men che meno – di controllare le attività complessive del nostro corpo. Non sarebbe neanche corretto chiamarlo “secondo cervello” in quanto – filogeneticamente e organogeneticamente parlando – si forma prima dell’intero sistema nervoso e quindi, da un punto di vista cronologico, sarebbe semmai il primo. È invece vero che le informazioni che partono dal nostro “cervello viscerale” per raggiungere i distretti funzionalmente “più alti” del nostro sistema nervoso centrale possono influire sul nostro stato d’animo e, attraverso complicate vie riflesse, sul benessere complessivo del nostro organismo.

In attesa di capirne di più, pertanto, cerchiamo di non “irritare” troppo il nostro intestino e il suo cervello in miniatura.

 

di Francesco Cappello
© Riproduzione Riservata
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