La ricerca, finanziata da AIRC, ha definito gli eventi alla base della tumorigenesi tiroidea e, nello specifico, ha delineato i meccanismi molecolari responsabili dell’insorgenza dei diversi carcinomi tiroidei distinguibili per istologia e decorso clinico.
La scoperta è il risultato di una collaborazione multidisciplinare tra l’equipe del prof. Stassi (Veronica Veschi, Chiara Modica, Simone Di Franco, Miriam Gaggianesi e Sebastiano Di Bella) e il gruppo di ricerca della prof.ssa Matilde Todaro (Alice Turdo, Melania Lo Iacono e Laura Mangiapane) e della prof.ssa Maria Rita Bongiorno del Dipartimento PROMISE- Promozione della Salute, Materno-Infantile, di Medicina Interna e Specialistica di Eccellenza “G. D’Alessandro” di UniPa. Hanno inoltre contribuito il team dell’Istituto Oncologico del Mediterraneo di Viagrande, Catania (Lorenzo Memeo, Lorenzo Colarossi, Cristina Colarossi e Dario Giuffrida), il dott. Aroldo Rizzo dell’Azienda Ospedaliera “Cervello” di Palermo e i proff. Antonino Belfiore e Paolo Vigneri dell’Università degli Studi di Catania.
“Il cancro della tiroide rappresenta la patologia neoplastica più comune del sistema endocrino, con una frequenza del 3.8% e un’incidenza prevalente nelle donne tra i 40 e i 60 anni. Le mutazioni genetiche che si accumulano nelle cellule tiroidee danno origine a diversi tipi di tumore tiroideo, tra cui le forme ben differenziate, caratterizzate da una elevata sopravvivenza, e la forma indifferenziata più rara e associata ad una prognosi infausta” commenta il prof. Stassi.
“I ricercatori, mediante l’utilizzo di un modello di cellule staminali, hanno ricreato la gerarchia cellulare della ghiandola tiroidea e parallelamente, attraverso un sistema di editing genetico, hanno identificato una piccola sottopopolazione cellulare, che in seguito all’accumulo di mutazioni genetiche è in grado di generare neoformazioni riconducibili alle differenti forme tumorali, inclusi i carcinomi tiroidei indifferenziati più aggressivi”.
“Questo modello costituisce un sistema eccellente per studiare l’evoluzione della malattia e per sperimentare l’efficacia di nuovi farmaci. Infatti, ha contribuito a definire nuovi marcatori predittivi per la risposta alle terapie convenzionali e, soprattutto, hanno portato alla luce una potenziale strategia terapeutica per i carcinomi indifferenziati della tiroide contraddistinti da una elevata aggressività e da una sopravvivenza alla diagnosi di circa sei mesi”.
“Il progetto di ricerca svela l’origine genetica e cellulare dei tumori alla tiroide e apre le porte a nuove possibilità di terapia per i pazienti con malattia avanzata – conclude il prof. Stassi -. Nell’attesa dei risultati delle sperimentazioni cliniche, questa scoperta rafforza l’opinione, sempre più diffusa, che lo studio dell’evoluzione tumorale rappresenti il futuro della ricerca sul cancro”.