Si parla in questi giorni di disagi psicologici e difficoltà sociali diffuse, così ho chiesto a Daniele La Barbera, professore ordinario di Psichiatria presso l’Università di Palermo, il suo punto di vista su questi giorni di emergenza sanitaria da Covid19.
Noi psichiatri siamo dei medici strani, molto spesso visitiamo i pazienti senza doverli o poterli toccare, affidando l’esito della diagnosi e il successo dei relativi trattamenti a quanto osserviamo, a quello che ci viene detto, a un dialogo, a una relazione più o meno difficile o fugace. Non abbiamo dati bioumorali né strumentali ai quali affidare, anche solo in parte, le nostre prognosi. Forse è per questa ragione che ci abituiamo a spremere da ogni minimo dettaglio tutti i significati possibili, a interpretare ogni particolare e a cercare di intuirne e prevederne i risvolti e le possibili evoluzioni. Intuizione e previsione diventano quindi essenziali nel nostro lavoro e se non li sviluppiamo al massimo grado possibile i problemi mentali del paziente ci metteranno sempre in scacco.
In questa emergenza sanitaria pensi ci sia stata intuizione e previsione?
Proprio intuizione e previsione sono quelle attitudini mentali che sembrano non avere funzionato bene e tempestivamente, nell’emergenza COVId-19 in tutto il mondo, dalla Cina all’Italia, dalla Spagna alla Francia e all’Inghilterra, dall’America del Nord a quella del Sud. In ciascuna di queste Nazioni e territori – nonostante tutti gli apprezzabili e a volte straordinari sforzi per contrastare la pandemia – si sono accumulati ritardi iniziali nel prendere atto del pericolo, una certa inerzia e lentezza nell’attuare contromisure drastiche, a volte minimizzazioni o sottovalutazioni clamorose e un po’ grottesche. Lasciando spesso interdetti i non addetti ai lavori (tra i quali mi inserisco a pieno titolo) che, se dotati di un minimo di buon senso e per l’appunto, di intuizione e capacità di prevedere il corso degli eventi, non potevamo che restare esterrefatti dinanzi a governanti che non riuscivano a comprendere che ciò che stava succedendo nell’area geografica vicina al loro paese molto presto si sarebbe verificato anche a casa loro. Non mi viene in mente un solo capo di stato o di governo che sia stato in grado di sfruttare il vantaggio di qualche giorno o settimana; un vantaggio preziosissimo gettato al vento, il favore offerto da una sorte benigna bruciato dall’incapacità di “leggere” le dinamiche elementari della diffusione pandemica del virus, per le quali, più che importanti cariche istituzionali o elevati e specifici titoli scientifici, occorreva osservare i fenomeni e interpretarli correttamente, con equilibrio, buon senso, lungimiranza e prudenza.
Come è possibile una così clamorosa mancanza di elementare previsione in chi ha responsabilità nel gestire la salute e l’incolumità di milioni di persone?
E’ una domanda che in questi giorni mi pongo spesso, non senza una qualche punta di amarezza e di rabbia, ma soprattutto con stupore. E aggiungerei, può darsi che le persone migliori e quelle che avrebbero più capacità e attitudini a gestire queste emergenze non ricoprano i posti di potere che magari meriterebbero molto più di altri? Può darsi che quando la messa in atto di misure atte a proteggere la salute delle masse, con limitazioni drastiche e spesso impopolari, ha conseguenze economiche rilevanti, le capacità decisionali si paralizzino e le interpretazioni si distorcano? Molti oggi dicono: “non è il momento delle polemiche”, e io sarei anche d’accordo se le polemiche sottraessero tempo da impiegare più utilmente per cautelare noi, i nostri cari, i nostri assistiti o se andassero a svantaggio di quelle importanti azioni politiche e istituzionali dai quali dipende il buon esito del contrasto alla diffusione della pandemia.
Cosa bisognerebbe fare?
Occorre cooperare, collaborare, interagire per il bene comune e occorre che ognuno faccia la sua parte, la parte migliore con le sue risorse migliori. Detto questo però, il problema di utilizzare le capacità previsionali riaffiora da una angolatura se possibile ancora più inquietante. Come è possibile dunque, che nessun organismo sanitario nazionale in nessun paese in occidente, come in oriente, abbia elaborato e predisposto un piano specifico, articolato e condiviso per far fronte ad una pandemia mondiale, anzi in un mondo globalizzato, quindi con rapidissimi effetti diffusivi? Come è possibile che l’OMS, dopo le avvisaglie dell’epidemie SARS-Cov del 2003 e MERS-Cov del 2012, non abbia studiato, definito e programmato un piano internazionale, condiviso con tutti i principali paesi del mondo, per far fronte ai rischi di una ennesima e probabile pandemia globale? Si sarebbe dovuto studiare un piano di interventi sanitari immediati e coordinati, al quale tutti i paesi si potessero uniformare, secondo tempistiche e algoritmi prefissati sulla base di comuni indicatori epidemiologici e statistici condivisi a livello mondiale, senza lasciare le sorti di milioni di persone alla libera iniziativa individuale all’estro creativo del primo ministro o capo di stato di turno. E senza mettere le singole nazioni in stolida competizione, una contro l’altra, prima di rendersi miseramente conto che nel villaggio globale un virus non incontra barriere di alcun tipo. Ed è anche scontato che io ricordi a me stesso quale montagna di risorse finanziarie alcuni governi nazionali destinano alla possibilità di prevenire (o provocare) una catastrofe nucleare, riservando scarsissima attenzione a una emergenza biologica, altamente probabile e talmente presente nell’ordine naturale delle cose, da essere stata descritta decine di volte da scrittori e registi che affrontano il tema degli effetti di una pandemia virale. Ma mai nessun uomo di governo, in nessuna parte del mondo, lo ha considerato probabile.
So che, per aiutare i pazienti e i cittadini a gestire lo stress da isolamento o da convivenze forzate, avete messo a disposizione un ambulatorio virtuale “Psicohelp”, come sta andando?
L’aspetto che ci ha stupito di più è che chiamano persone da tutte le parti d’Italia e che spesso si tratta di soggetti che non hanno precedenti psichiatrici, nei quali evidentemente la situazione specifica della pandemia ha attivato un’ansia profonda, altre volte è il fatto di essere confinato tra le mura di casa a creare difficoltà emotive (ma questo secondo aspetto mi sembra più frequente in chi aveva già sofferto in precedenza di disturbi psichici). Poi abbiamo conferme che l’isolamento a casa è vissuto in modo completamente diverso da soggetto a soggetto, chi con grande piacere di godersi casa e famiglia, chi con angoscia e insofferenza e con una forte tensione familiare. Ovviamente le ristrettezze economiche rendono tutto più problematico e sono di per sé motivo di grandi preoccupazioni. Ci sembra che il sentimento più dannoso sia il sentirsi impotente di fronte agli eventi ed è in questo che cerchiamo di aiutare molte persone a sviluppare un maggiore senso di controllo e padronanza sulle circostanze della loro situazione di vita. La sensazione che ho, è che il cambiamento improvviso nelle nostre vite, causato come dicevo prima anche dalla mancanza di capacità previsionale nelle alte sfere delle istituzioni internazionali e dei governi, si ribalti adesso su di noi, singoli individui alle prese con un quotidiano improvvisamente diventato problematico e con un futuro incerto e imprevedibile. A ciascuno di noi viene oggi richiesto di dare il meglio di sé, affrontando difficoltà di ogni tipo, ognuno nel proprio contesto di vita, ognuno nella situazione lavorativa, familiare, economica e sociale nella quale si trova. Quella prudenza, quell’accortezza, quella capacità di prevedere e intercettare i fenomeni e di trovare le strategie più adeguate, adesso è affidata a ciascuno di noi, nessuno escluso, ciascuno nel suo piccolo spazio di vita, che seppure apparentemente insignificante nelle dinamiche macroscopiche che sembrano sovrastarci, è uno spazio incommensurabile e ricco di senso e di valore, dove si misura, giorno per giorno, la nostra straordinaria capacità umana di resistere alle avversità, di proteggere noi e i nostri cari e di guardare al futuro con apertura e speranza. Infine, credo che la differente e contraddittoria gestione della pandemia da parte delle varie nazioni evidenzi che avremmo bisogno non di meno ma di più globalizzazione, non solo una globalizzazione dei traffici e dei commerci, ma quella vera, che riguarda la solidarietà, la cooperazione e le scelte importanti condivise per il bene comune dell’umanità. Valeria Militello