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Sanità, “Sunshine Act”: maggiore trasparenza, meno corruzione?

Il ministro Grillo si appella al Parlamento per la rapida approvazione del sunshine act che mira a rendere meno opachi i finanziamenti erogati dall’industria a medici e decisori sanitari.

Che ben venga la trasparenza anche se già adesso molti professionisti sono coinvolti nella comunicazione all’amministrazione di appartenenza e nella relativa compilazione di documenti a volte incomprensibili per ripetitività e macchinosità.

Già adesso è obbligatorio dare comunicazione o avere l’autorizzazione all’espletamento di incarichi per attività intellettuale con il massimo di dettaglio, anche da un punto di vista economico.

Alcune volte tuttavia le direzioni non autorizzano incarichi che rappresentano un prestigio non solo per il professionista ma anche per l’azienda sanitaria e per il sistema sanitario in generale. Quindi si spera che il nuovo atto venga incontro ai professionisti senza ulteriori aggravi o penalizzazioni.

La trasparenza è una cosa dovuta e non dovrebbe essere pensata per mettere in dubbio l’operato di un sanitario ma solo per rendere pubblico ciò che deve essere pubblico, perché ognuno possa considerare ogni professionista per quello che fa e rappresenta da un punto di vista scientifico e/o culturale.

Non credo che inserire altre beghe burocratiche possa migliorare questo strano paese che fa di tutta l’erba un fascio e che etichetta tout court l’industria farmaceutica corruttrice e tutti i medici corrotti.

In realtà non ci vuole molto a capire se un professionista viene chiamato come opinion leader o come medico prescrittore magari in piccoli eventi che non hanno un alto significato scientifico e culturale.

Ci vuole molto poco ma questo paese procede verso la strada dell’ipocrisia e continua a produrre norme su norme forse per nascondere quello che è facile scoprire solo guardandosi in giro. Magari fingendo di non vedere cose ovvie: voci di spesa che si gonfiano senza vere motivazioni cliniche, centri di potere che sono fuori dalle logiche della complessità organizzativa,relatori che non rappresentano nulla dal punto di vista scientifico ma invitati spesso ad eventi di piccolo cabotaggio, etc.etc.

Capisco che queste parole possano suscitare disappunto ma noi professionisti per primi dobbiamo interrogarci sul nostro ruolo e sulla promozione della eticità della nostra azione, sulla necessità che una collaborazione con l’industria farmaceutica o dei device corrisponda sempre a ciò in cui si crede e non a ciò che più conviene.

Dall’altra parte chi ha responsabilità politica e decisionale strategica deve smetterla di considerare tutti i professionisti delinquenti e l’industria demonio. Al contrario sono possibili momenti di incontro e di collaborazione che possano far convergere interessi economici e di salute soddisfacendo correttamente i bisogni di tutti gli stakeholder ma mettendo sempre al centro i bisogni dei pazienti.

Del resto c’è sempre il modo di capire se i comportamenti sono consoni o no. Basta verificare l’appropriatezza prescrittiva, l’attenzione agli esiti di salute e la congruità tra questi e l’innovazione, il rispetto dell’utilizzo del farmaco a minor costo se le caratteristiche cliniche lo permettono.

Ovvio che semplice non è, perché il sistema invece di burocratizzare tutte le procedure rendendole prone quindi al superamento delle stesse tramite sotterfugi che la tanto reclamata trasparenza non può più evidenziare, dovrebbe rivedere i meccanismi di controllo che non possono essere più basati sulle quantità ma sulla qualità della prescrizione.

Ma per fare questo non dovremmo essere circondati da burocrati … A tutto il resto dovrebbero dare le giuste risposte la propria etica professionale e la magistratura.

di Salvatore Corrao
© Riproduzione Riservata
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