Comprendere i dati è divenuta una delle chiavi per raggiungere il successo, anche in sanità.
Ma che tipo di dati? Con quali metodi vanno raccolti? E perché in alcune occasioni le informazioni che cerchiamo non sono precise oppure sono del tutto errate? Semplicemente spesso i dati non sono stati interpretati nel modo corretto.
La convinzione di possedere una grande mole di dati e di poterli mettere in relazione tra loro attraverso l’uso di tutte quelle tecnologie e metodologie di analisi di dati massivi, finalizzate ad estrapolarli e analizzarli (Big Data) ci ha illuso che bastasse disporne per conoscere, con certezza matematica, tutte le informazioni necessarie per prevedere fenomeni futuri.
Ma la domanda che ci poniamo oggi è: avere più informazioni possibili, senza conoscerne le dinamiche che hanno portato all’origine di un dato piuttosto che di un altro, può davvero essere d’aiuto?
Una valida risposta si può trovare nella ricerca condotta a metà del 1800 dal medico britannico John Snow, considerato tra i pionieri nel campo dell’epidemiologia, grazie alla quale lo stesso rilevò i veri fattori che causavano l’epidemia di colera a Londra.
Durante la sua ricerca, utilizzò una piantina di Londra con la diffusione dei casi nei diversi periodi. Questo metodo gli permise di notare che i casi si concentravano attorno ad una pompa dell’acqua nel distretto di Soho. Bloccando il funzionamento della pompa riuscì a fermare il diffondersi della malattia.
Quindi, sta cominciando a diffondersi una strategia che vede l’utilizzo dei Big Data abbinati ai Thick Data, per avere una visione d’insieme delle problematiche, fino a rilevare l’atteggiamento del singolo nei contronti del servizio sanitario erogato. L’analisi dei Thick Data può aiutare a capire quali dinamiche siano intervenute e come poter correggere il tiro.
Raccogliere dati senza comprendere il contesto dal quale essi provengono rende gli stessi dati inefficaci per il raggiungimento di alcuni scopi. E’ proprio il contesto a rendere i dati “Thick”, vale a dire “densi, spessi”, e la comprensione del contesto a differenziarli dai Big Data, raccolti dai data point, dati che senza reinterpretazione possono dire tanto e nulla allo stesso tempo.
Non è tanto la tipologia di dati immagazzinati a fare la differenza ma i metodi utilizzati per raccoglierli e immagazzinarli, l’approfondimento del contesto.
Non possiamo sfruttare solo numeri e algoritmi per comprendere, ad esempio, il comportamento di un paziente a 360 gradi, questo perché vi sono fattori imprevedibili che possono determinare lo stato di salute, primo fra tutti il fattore emotivo.
“I thick data colmano le lacune nell’analisi dei big data”, scriveva Mary Shacklett su Tech Republic il 6 gennaio 2015. Nulla di più vero. Ancora più precisa è la descrizione di Mike Cassidy, nel suo articolo “Big data is yielding to thick data and that’s a good thing” pubblicato il 3 maggio 2014 su BloomReach: “I dati spessi rappresentano semplicemente l’idea che i numeri da soli non bastano. Per comprendere veramente i dati, è spesso necessario considerare cose come le emozioni umane, che raramente possono essere previste con accuratezza”.
Gli statistici, infatti, lavorano sempre a contatto con gli SME (Subject Matter Expert), ovvero persone qualificate che forniscono informazioni sia sui contenuti che sulle risorse.
È essenziale che le aziende sanitarie comincino a prenderne coscienza, oggi non più una scommessa, ma una vera e propria opportunità per la crescita. E, per coglierla e sfruttarla al meglio, serve un cambiamento sia dal punto di vista organizzativo sia dal punto di vista culturale. Servono nuove figure capaci di interpretare ed estrarre dai dati elementi essenziali per affrontare in maniera dinamica e veloce le decisioni importanti da prendere.