Pazienti terminali, con patologie ormai inguaribili hanno oggi la possibilità di affrontare l’ultimo periodo della loro vita accanto a professionisti che, oltre a garantire sollievo dalla sofferenza, offrono cure olistiche integrando il supporto clinico a quello psicosociale.
Le cure palliative sono state definite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come “…un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicofisica e spirituale“.
Il termine palliativo deriva dal latino “pallium”: mantello, protezione” ed indica il bisogno di questa particolare categoria di pazienti di essere protetti e amati negli ultimi giorni della loro vita.
Un editoriale di Geraldine Foley della scuola di Medicina Trinity College di Dublino mostra come nelle cure palliative, sia il paziente che la famiglia o i caregivers in genere sono considerati l’unità di cura principale. Nonostante il carico assistenziale per i caregivers nelle cure di fine vita del proprio caro sia intenso, ed alle volte psicologicamente devastante, non va dimenticato che è proprio questo il periodo più importante in cui i sentimenti e le relazioni umane possono davvero garantire una morte serena al soggetto, alle volte più di quanto le cure mediche riescano a fare.
Il gruppo di ricerca del professore Salvatore Corrao ha condotto uno studio fenomenologico sul fine vita,oggetto di una tesi sperimentale, i cui dati sono stati presentati al XXIV Congresso della Società Italiana di Cure Palliative. Dieci pazienti terminali ricoverati nel reparto di Hospice dell’Arnas Civico di Palermo hanno raccontato il proprio vissuto esperienziale mettendo in evidenza come uno dei loro principali desideri fosse quello di morire nella consapevolezza di essere amati, in particolare dai propri familiari.
Pazienti con una famiglia unita accanto mostravano la loro volontà di combattere per riunirsi ai propri cari o affrontavano l’argomento morte con serenità:
I pazienti soli, abbandonati o con forti tensioni familiari invece, desideravano morire il prima possibile come riportato da questa seconda testimonianza:
Per sua natura l’Hospice è un luogo di cura realizzato con lo scopo di tenere vicini fino alla fine pazienti e familiari.
I pazienti inclusi nello studio hanno mostrato il bisogno di non sentirsi un peso per la famiglia, ma non per questo l’Hospice deve essere visto come un reparto ospedaliero in cui lasciare i propri cari affinchè vengano assistiti e sollevati dal dolore. Il personale dell’Hospice è formato per garantire cure mediche e spirituali ai soggetti ricoverati e, nonostante i pazienti abbiano sottolineato quanto il rapporto umano con i professionisti li abbia fatti sentire accolti da un ambiente familiare, il desiderio più intimo che hanno mostrato era quello di avere una famiglia unita o riunita al proprio fianco.
Non i beni materiali, non la carriera, non i conflitti familiari, nulla è apparso più importante di sane relazioni umane a chi non ha più una speranza di vita.
In questi pazienti, quindi, deve prevalere la relazione a partire dalla comprensione delle problematiche familiari e sociali e dalla differente propensione alla elaborazione del concetto di morte imminente. In questo senso il ruolo degli operatori sanitari è essenziale e deve essere metaforicamente quello di prendere per mano la persona ed accompagnarla in modo sereno verso il suo ultimo viaggio..
Si ringraziano i pazienti ed i loro familiari, conserviamo queste parole come un ricordo prezioso.