La dipendenza dai videogame si definisce come un uso eccessivo o compulsivo di giochi per computer o videogiochi, che interferisce con la vita quotidiana di una persona.
Può presentarsi con una compulsione al gioco, l’isolamento sociale, sbalzi d’umore, ideazione diminuita, e iper-focalizzazione sui risultati del gioco, con esclusione di altri eventi nella vita. La dipendenza da videogioco è classificata come una dipendenza comportamentale.
Nel maggio 2013, l’American Psychiatric Association (APA) aveva già proposto i criteri per la dipendenza da videogiochi nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, giungendo alla conclusione che non vi erano prove sufficienti per inserirlo come un disturbo mentale ufficiale. Tuttavia, i criteri proposti per l’Internet Gaming Disorder sono state incluse nella sezione 3, Conditions for Further Study, cioè nelle condizioni per ulteriori studi.
Nel giugno del 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per la prima volta, ha riconosciuto la “dipendenza dai videogames” come una malattia. Probabilmente solo adesso perché la situazione, con l’avvento di tecnologie sempre più avvincenti, va sempre peggiorando.
Non è un disturbo nuovo ma già dai tempi dell’Atari, bisnonna in pratica delle attuali console, si registrarono i primi casi di dipendenze. Ora però tutto si sta evolvendo con una velocità che ha costretto gli esperti a dover affrontare di petto un problema che investe un’enorme quantità di persone.
La Epic Games Inc., azienda che produce Fortnite (attorno al quale gira un business che orbita sul miliardo di dollari), in passato ha lanciato degli avvertimenti ma per quanto riguarda il problema della dipendenza si rifiuta di commentare.
E nel frattempo il problema si allarga e non riguarda più solo bambini e adolescenti, in quanto si segnalano persino numerose cause di divorzi.
Fortnite è distribuito gratuitamente, i proventi arrivano dalla vendita di armi speciali e particolari “skin” per il proprio personaggio, addirittura la Epic Games pare abbia chiuso un sostanzioso accordo con la National Football League per mettere a disposizione dei giocatori le maglie delle proprie squadre preferite.
Paul Weigle, uno psichiatra del Mansfield Center, nel Connecticut, sta seguendo 20 ragazzi dipendenti da Fortnite e raccomanda ai genitori di non permettere ai figli di avvicinarsi ai videogames prima dei 10 anni e di fissare severe regole sugli orari da dedicargli, dato che più si va avanti più questi giochi diventano sofisticati e dediti ad agganciare il proprio pubblico e tenerlo davanti allo schermo il più possibile; infatti ammette che “sarà un problema sempre più grosso”.
Questo fenomeno da dipendenza è quindi una cosa molto seria, stando ai dati del Policlinico Universitario A. Gemelli, famoso ospedale romano, nel reparto per la Psicopatologia da web quasi l’80% dei ricoverati sono bambini e ragazzi tra 11 e 23 anni. Gli specialisti ai quali rivolgersi sono coloro che si occupano di Medicina delle Dipendenze. E più si è attenti e tempestivi, minore sarà faticoso per il ragazzo uscirne per ritrovare la voglia e la gioia di vivere davvero.