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La broncopneumopatia cronica ostruttiva e terapia antibiotica: solo quando necessario. Rispondono gli esperti

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia con un grande impatto sociale per la sua elevata prevalenza, per le conseguenze invalidanti e anche per l’elevata mortalità. Esiste uno strettissimo legame tra prevalenza della BPCO e abitudine tabagica, che rappresenta il principale fattore di rischio. Il riconoscimento dei fattori di rischio ha fatto sì che oggi la malattia venga definita prevenibile, presupponendo uno sforzo comunitario nella identificazione dei soggetti a rischio (fumatori o ex-fumatori) e nell’attuazione di tutte le misure idonee alla cessazione dell’abitudine tabagica.

Questo è un periodo invernale dove tra alti e bassi e piogge alluvionali la temperatura ambientale scenderà sempre più favorendo infezioni e riacutizzazioni di malattie croniche respiratorie come la BPCO. In questi giorni, inoltre, è stata pubblicata un’importante revisione sistematica sulla utilità della terapia antibiotica nelle cosiddette esacerbazioni (riacutizzazione dei sintomi respiratori come tosse e dispnea) della BPCO (Vollenweider e collaboratori, Cochrane Library 2018). Una revisione sistematica rappresenta un pezzo importante di informazione scientifica perché è il metodo principe di sintesi di tutti gli studi clinici di una determinata terapia per una patologia bene precisa. Questa sintesi prende in considerazione la qualità degli studi e attraverso strumenti di sintesi quantitativa permette di trarre conclusioni scientifiche robuste per l’applicazione nella pratica clinica.

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Sono stati trovati e analizzati 19 studi internazionali che comparavano due gruppi di pazienti affetti da BPCO, uno trattato con antibiotici e l’altro con placebo (cioè apparentemente uguali ai farmaci utilizzati ma senza la molecola attiva di antibiotico). I ricercatori hanno documentato effetti poco significativi sul decorso della riacutizzazione e totalmente assente sugli esiti di salute che contano (mortalità e durata della degenza). Gli unici veri vantaggi sono stati riscontrati in pazienti ricoverati in terapia intensiva e gli stessi ricercatori concludono che bisognerà indirizzare la ricerca su markers di laboratorio precoci che permettono di capire precocemente quali pazienti possono beneficiarsi della terapia antibiotica. Ho voluto porgere a veri esperti del settore delle domande su questa tematica di grande interesse per i pazienti, professionisti e sistema sanitario.

Nicola Scichilone, professore di Pneumologia all’università di Palermo, ha risposto ad alcune nostre domande relativamente a questa particolare patologia

Può definirci in poche parole cos’è la BPCO?

La BPCO è una malattia respiratoria cronica caratterizzata da ostruzione bronchiale persistente e progressiva, da una eterogeneità sia nella presentazione clinica che radiologica, con variabile risposta alla terapia e diverso declino della funzione respiratoria. Questo quadro eterogeneo è ulteriormente complicato dalla contemporanea presenza di condizioni morbigene extra-polmonari.

La tosse produttiva con espettorazione mucosa o mucopurulenta e la dispnea da sforzo costituiscono i sintomi più comuni nei pazienti affetti da BPCO: la severità di tali sintomi dipende dalla prevalenza dei fenomeni di tipo ipersecretivo (tipici della bronchite cronica semplice) o di quelli propriamente ostruttivi (tipici della BPCO conclamata), connessi alla flogosi bronchiale e ai danni strutturali irreversibili a carico del parenchima (enfisema). La BPCO si associa inoltre a numerose condizioni patologiche extra-polmonari, connesse direttamente o indirettamente sul piano causale con la BPCO, che possono complicare la gestione della BPCO“.

Come mai la BPCO è sottostimata e forse anche sottotrattata con problematiche importanti di aderenza terapeutica?

Questa condizione è non di rado sottovalutata dal paziente che tende a sdrammatizzare i primi sintomi, spesso accettandoli come ineluttabili a causa dell’esposizione al fumo di sigaretta, e rimandando così il ricorso agli accertamenti diagnostici e all’appropriata terapia. Nella vita reale, il medico tende spesso a gestire le fasi acute, intervenendo in maniera più organica solo nelle fasi avanzate della malattia. Questi aspetti comportano un intervento sulla malattia in una fase avanzata, spesso tardiva. La terapia farmacologica regolare consente di migliorare la qualità della vita del paziente affetto da BPCO: ciò si ottiene migliorando i sintomi, riducendo le riacutizzazioni, migliorando la funzione respiratoria e aumentando la tolleranza allo sforzo. Perché ciò accada, è necessario che il paziente aderisca pienamente alla terapia: aderenza alla terapia è infatti cruciale per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici. In questo ambito, la preferenza del dispositivo inalatorio da parte del paziente assume un ruolo fondamentale. E’ opportuno ricordare come qualunque terapia risulti vana se non si persegue l’obiettivo della disassuefazione dall’abitudine al fumo di sigaretta. Nella vita reale, la gestione farmacologica della BPCO segue solo parzialmente le raccomandazioni internazionali. E’ infatti comune da un lato il ricorso eccessivo ad aerosolterapia con nebulizzatori, dall’altro a terapie croniche per via sistemica (teofillina, corticosteroidi) che sono gravate da alto rischio di complicanze a breve e lungo termine. Nell’accezione comune, la terapia inalatoria risulta non sufficientemente praticata dalla classe medica e sottovalutata dal paziente“.

Può spiegare ai nostri lettori il significato della risacerbazione?

La riacutizzazione di questa malattia polmonare è un evento drammatico per le conseguenze sul paziente ed è definita quale condizione acuta caratterizzata da un peggioramento dei sintomi respiratori rispetto alla variabilità quotidiana degli stessi e che richiede una variazione del trattamento farmacologico, che non di rado richiede l’intervento del medico e il ricorso al Pronto Soccorso e l’ospedalizzazione. La riacutizzazione di BPCO si riconosce clinicamente: la febbre non è un indicatore affidabile, la radiografia del torace non aiuta, le prove di funzionalità respiratoria sono in questa fase poco attuabili, e l’esame batteriologico dell’espettorato ha dei limiti intrinseci. Se da un canto, il trattamento costante della BPCO in fase stabile consente di prevenire la comparsa di riacutizzazioni, o limitarne la frequenza, il trattamento della riacutizzazione deve basarsi sul riconoscimento dei fattori che le hanno indotte. Le più comuni cause di riacutizzazioni di BPCO sono le infezioni virali delle alte vie aeree e dell’albero tracheobronchiale. Per tale motivo, l’utilizzo di antibiotici dovrebbe essere limitato ai pazienti con instabilità clinico-funzionale che li pone a rischio di ospedalizzazione in cui le caratteristiche cliniche consentano di sospettare un’eziologia batterica, come per esempio nei pazienti in terapia intensiva“.

Cosa ne pensa delle conclusioni degli autori della revisione sistematica recentemente pubblicata sulla Cochrane library?

I risultati di questa imponente ricerca sottolineano come i benefici degli antibiotici siano fortemente limitati a specifiche condizioni cliniche, e inconsistenti riguardo i principali obiettivi terapeutici. Occorre ricordare come gli antibiotici siano gli unici farmaci che possono perdere efficacia nel tempo. Si registrano infatti un numero crescente di fenomeni di resistenza agli antibiotici che rendono vane le terapie attuate. Dal 2011 un terzo dei paesi europei registra un allarmante incremento di resistenze combinate ad antibiotici e si stima che 25.000 decessi/anno siano il diretto risultato dell’antibiotico resistenza. Dati recenti confermano che il 90% degli antibiotici in Europa vengono prescritti per infezioni del tratto respiratorio, rendendo conto dei fallimenti terapeutici sia nella medicina del territorio che in quella specialistica. E’ imperativo pertanto usare gli antibiotici solo quando è necessario, evitando di trattare la semplice colonizzazione o la contaminazione. Occorre ribadire che l’abuso e l’utilizzo inappropriato degli antibiotici hanno contribuito alla comparsa di batteri resistenti; in questo contesto, va bandita l’auto-prescrizione di antibiotici da parte di individui che ne assumono senza la prescrizione di un medico, così come l’uso sistematico degli antibiotici come promotori della crescita in zootecnia. Il ritardo nella somministrazione di antibiotici per 48 ore nell’attesa di una risoluzione spontanea delle infezioni del tratto respiratorio può ridurre l’utilizzo di antibiotici, anche se questa strategia può ridurre la soddisfazione dei pazienti“.

Per approfondire ulteriormente l’argomento abbiamo approfittato della disponibilità di un altro esperto, Il professore Antonio Cascio, ordinario di malattie infettive dell’università di Palermo, per avere un suo commento su due questioni di estrema importanza per i pazienti.

Quanto è importante fare la terapia antibiotica solo se necessario?

La terapia deve essere utilizzata solo quando è necessario per una serie di motivi:

Gli antibiotici somministrati non solo uccidono i microbi “cattivi” ma anche quelli buoni determinando quindi un “dismicrobismo” con proliferazioni di microorganismi non sensibili a quell’antibiotico es Clostridium difficile, e che potrà essere associato a lesioni della mucosa del tubo digerente che a loro volta potranno determinare il passaggio della Candida dal tubo digerente al sangue;

Gli antibiotici possono avere effetti tossici sull’apparato uditivo, renale ematopoietico etc etc ed ancora ci sono persone che diventano allergiche a determinati antibiotici (che magari hanno spesso utilizzato in passato senza alcun problema).

Talvolta gli effetti tossici si verificano anche dopo poche dosi assunte;La pressione antibiotica inevitabilmente genera le resistenze batteriche. I geni delle resistenze potranno poi esser trasmessi ad altri batteri dello stesso paziente o ad altre persone; Limitare la spesa farmaceutica“.

Quali antibiotici dovrebbero essere evitati nei pazienti non ospedalizzati?

Se non strettamente necessari dovrebbero evitati tutti gli antibiotici per via iniettiva. Gli antibiotici dovrebbero essere usati possibilmente in “terapia mirata” avendo cioè a disposizione l’isolamento batterico ed il relativo antibiogramma tenendo in considerazione la sede dell’infezione e le caratteristiche del paziente. Per esempio per un’infezione dell’osso devo essere sicuro che l’antibiotico che sto prescrivendo raggiunga l’osso in maniera ottimale, ed ancora se un paziente sta assumendo farmaci per altre patologie, massima attenzione dovrà essere rivolta alle possibili interazioni che potrebbero portare ad avere concentrazioni di antibiotico troppo basse (e quindi inefficaci e generatrici di resistenze batteriche) o troppo alte (con possibili effetti tossici). La terapia empirica dovrebbe essere usata con parsimonia ma, dopo aver effettuato i prelievi microbiologici, bisognerebbe cominciarla senza indugio soprattutto se il paziente presenta più segni di SIRS (Sindrome da risposta infiammatoria sistemica). Gli antibiotici che eviterei di somministrare sono soprattutto i chinolonici sia perché molti batteri verso i quali viene prescritta sono diventati resistenti sia per i possibili effetti collaterali: enterocolite da Clostridium difficile, lesioni ai tendini, rischio di aneurisma aortico etc.

Credo che questo sia il periodo giusto per dare informazioni utili a tutti anche a noi medici su una tematica di grande rilevanza sia per i pazienti che per il sistema sanitario che dovrà affrontare nei prossimi anni il tema dell’antibiotico-resistenza che risente in modo imponente dell’appropriatezza prescrittiva di questa classe di farmaci“.

di Salvatore Corrao
© Riproduzione Riservata
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