Un recentissimo lavoro su una prestigiosa rivista di settore (AIDS 2018; DOI: 10.1097/QAD.0000000000001927) ha pubblicato un interessante studio sull’invecchiamento cerebrale nei pazienti affetti da infezione da HIV in trattamento con farmaci antiretrovirali (detto ART) usati ormai routinariamente per bloccare l’evoluzione della malattia di questi pazienti.
Infatti, grazie a questi farmaci i pazienti sono portatori di infezione e non muoiono più per l’AIDS. Il sistema sanitario di fatto deve confrontarsi con una popolazione di pazienti che è diventata meno malata, con una ottima qualità della vita, ma fondamentalmente con una condizione cronica e per di più con un aumentato rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, metaboliche e tumorali.
L’invecchiamento della popolazione riguarda, quindi, anche questa categoria di pazienti e pertanto, oltre alle patologie croniche associate, il cui impatto sul sistema sanitario è già una sfida, è di fondamentale importanza capire cosa succede al paziente infetto da HIV, in trattamento con i farmaci specifici.
Torniamo ai dati scientifici del lavoro sopra citato. Sono stati studiati 187 pazienti sottoposti ad autopsia, morti per qualunque causa. E’ stato possibile studiare le alterazioni cerebrali di diverse zone del cervello. In particolare si è visto che alcuni farmaci sono associati ad alterazioni a carico del putamen, collocato alla base del cervello e centrale di collegamento tra corteccia cerebrale e altre zone del cervello.
Il putament gioca un ruolo importante nei disordini neurologici degenerativi (come il morbo di Parkinson) perché uno dei suoi compiti è regolare i movimenti in vari stadi (p.e. preparazione ed esecuzione) oltre che essere coinvolto in vari tipi di apprendimento.
L’uso di Darunavir e Ritonavir sono risultati associati con un aumentato rischio di alterazioni degenerative a carico del putamen, di circa 15 volte per il primo e di circa 4 volte per il secondo, rispetto a coloro che avevano praticato terapia con altri farmaci. Sono state trovate associazioni significative anche per quanto riguarda la corteccia frontale. La corteccia cerebrale è la parte nobile del cervello, sempre più sviluppata lungo la scala filogenetica degli esseri viventi fino alle scimmie e all’uomo, deputata a varie funzioni che riguardano movimenti e sensi.
La corteccia frontale è la parte forse più nobile con lo scopo di regolare tutta una gamma di processi mentali, emozioni, comportamenti e movimenti, collegata con la rimanente parte della corteccia e con tutta una serie di zone più profonde. In questa parte del cervello lo studio ha evidenziato che chi era stato trattato in vita con tenofovir disoproxil fumarate aveva una protezione di più dell’80% rispetto a soggetti che praticavano altri farmaci associate al contrario all’accumulo di placche di beta-amiloide (segno di degenerazione nei tessuti dove si riscontra).
Quindi, farmaci che promuovono alterazioni negative di alcune parti del cervello ed altri che proteggono parti nobili del cervello.
Tuttavia, bisogna sottolineare i limiti di questo studio che consistono soprattutto in una casistica limitata di soggetti. D’altra parte sono studi difficili da compiere in quanto non si possono studiare sezioni di cervello in soggetti viventi anche se tecniche di radiodiagnostica funzionale potrebbero essere utilizzate senza procurare danni e seguendo questo tipo di pazienti nel tempo.