Riceviamo e pubblichiamo la lettera dell’organizzazione sindacale Cimo, inviata all’assessore regionale alla Sanità Ruggero Razza, per la pianificazione della gestione della Fase due dell’emergenza coronavirus, in particolare per quel che riguarda l’assistenza ospedaliera.
Premesso che la scrivente O.S. di categoria della Dirigenza medica ospedaliera ha come sua espressione ai fini del costante aggiornamento la Società Scientifica S.P.E.ME., a cui aderiscono tutti gli specialisti delle più svariate branche della medicina;
CIMO desidera offrire il proprio contributo rassegnando la presente memoria, nella speranza di fornire spunti di riflessione a chi è poi preposto a prendere le decisioni conseguenti.
Dovendosi pianificare una fase 2 nella gestione dell’assistenza ospedaliera che sia sicura per pazienti ed operatori e nella consapevolezza che occorrerà gestire un lungo periodo di convivenza con il COVID19, si rende necessaria l’adozione di alcune misure dettate dalle evidenze scientifiche e dal buon senso, evitando atteggiamenti difensivi che in tante Aziende si stanno assumendo in questi giorni.
In particolare si sta diffondendo la consuetudine di eseguire indiscriminatamente tamponi rino-faringei, radiografie e talora TAC del torace ai pazienti che devono accedere in ospedale in regime di ricovero, nell’ipotesi che tali accorgimenti siano da soli una misura sufficiente per garantire pazienti ed operatori dal rischio di contagio, anziché eseguirli in determinati e definiti cluster di pazienti.
Al contrario, l’elevato numero di campioni falsi negativi, tanto nei pazienti a rischio COVID19 quanto nei pazienti non a rischio, insieme all’esecuzione di indagini radiologiche in assenza dei criteri di giustificazione previsti dalle norma anche in materia di radioprotezione, espongono a ben altri pericoli.
Tali pericoli sono particolarmente tangibili nelle aree di emergenza che in questi giorni si stanno ripopolando sempre più di pazienti con problemi sanitari che nulla hanno a che vedere con le manifestazioni cliniche della SARS-COV2, con un numero di accessi e un
numero di pazienti presenti nelle aree visita e di osservazione breve che hanno raggiunto i livelli pre-COVID19.
L’attesa del risultato dei tamponi per i pazienti che transitano dal PS e che necessitano l’ammissione in ospedale per completare l’iter diagnostico o per eseguire un trattamento terapeutico o che devono essere ricoverati, determina inevitabilmente un sovraffollamento che non permette di rispettare quanto previsto dalle norme in tema di distanziamento e comporta un ritardo che per taluni trattamenti diagnostico-terapeutici potrebbero condizionare un esito sfavorevole, con prevedibili risvolti medico-legali e di contenzioso.
Un approccio sicuro alla pianificazione della ripresa delle attività ordinarie degli ospedali dovrebbe prevedere innanzitutto un sistema di stratificazione del rischio che, come prevedono le raccomandazioni e le norme emanate dalle istituzioni nazionali e regionali, deve tener conto della distanza interpersonale, della durata del contatto e dalla esecuzione di procedure che generano aerosol.
In altri termini, a tutti gli operatori devono essere garantiti i dispositivi più appropriati in relazione alle distanze e al tempo di contatto con il paziente per eseguire una prestazioni nonché in relazione all’esposizione all’aerosol del paziente.
Un esito negativo del tampone (spesso falsamente negativo) o di un RX o TAC del torace in un paziente che ha nessun fattore di rischio (esami quindi inappropriati) non deve esimere le Aziende dal fornire i dispositivi giusti in relazione alla tipologia della prestazione da erogare. Anzi, l’essere a conoscenza della negatività del tampone può determinare un abbassamento del livello di attenzione da parte degli operatori nell’adottare le necessarie misure di prevenzione.
Dal punto di vista dei percorsi è necessario ed indispensabile:
Nelle aree di emergenza definire ed indicare in modo chiaro e sostenibile le aree dedicate ai pazienti sospetti in attesa di definizione diagnostica e del risultato del tampone;
che quanti accedono in ospedale (pazienti, fornitori, tecnici ed altro personale di supporto, siano dotati di mascherina;
che siano disponibili dispenser di soluzione idroalcolica per l’igiene delle mani in tutti gli ambienti dell’ospedale ed in particolare nei punti di accesso e di transito delle persone;
che al momento dell’ingresso in ospedale o in una specifica area (ambulatoriale, degenza,..) personale dedicato effettui la rilevazione della temperatura e valuti, attraverso la compilazione di una snella modulistica con poche semplici domande da registrare, una eventuale presenza di dispnea, polipnea, tosse e la presenza di fattori di rischio quali contatto stretto e diretto con pazienti COVID positivi, con conseguente intervento del medico responsabile dell’area in questione qualora si riscontri almeno un fattore positivo per decidere se rinviare il paziente al domicilio affidandolo alle cure del MMG od ammetterlo in ospedale;
temporizzare e contingentare gli accessi negli ambulatori in relazione alle dimensioni delle sale di attesa ed al numero delle sale visita, in modo da garantire un adeguato distanziamento tra le persone;
indicare le distanze nelle sale di attesa e nei punti di ristoro;
nelle aree ambulatoriali ridurre il numero di sale visite attive contemporaneamente, alternandone l’apertura tra mattina e pomeriggio e nell’arco della settimana;
ridurre il numero di posti letto per camera di degenza in modo da garantire una adeguata distanza tra i degenti che non può essere 4 ma nemmeno di 1. Infatti nelle condizioni attuali, i 4 posti letto previsti quale numero massimo per camera di degenza dai decreti di accreditamento istituzionale non consentirebbero un appropriato distanziamento per persone che condividono il medesimo ambiente per lungo tempo;
garantire una maggiore frequenza e accuratezza nella sanificazione ambientale ed in particolare le aree comuni e dei percorsi (sale di attesa, ascensori, corridoi,…)
individuare in ogni U.O. almeno una camera di degenza per i pazienti che durante il ricovero dovessero manifestare sintomi compatibili con la SARS-COV2;
impedire l’accesso agli accompagnatori, ad esclusione dei bambini e dei pazienti con fragilità (anziani, portatori di disabilità,…)
definire e segnalare con chiarezza i percorsi dedicati.
In conclusione, l’impegno deve essere indirizzato a fornire DPI appropriati agli operatori che svolgono attività a rischio elevato e non già eseguire tamponi rino-faringei indiscriminatamente in pazienti asintomatici, che non hanno fattori di rischio e che accedono in ospedale per problematiche sanitarie non correlate al COVID19.
Ingiustificati anche alla luce dell’attuale dato epidemiologico della nostra Regione.
L’esecuzione indiscriminata dei tamponi svia l’attenzione sulle reali problematiche sollevate dalla ripresa dell’attività ospedaliera ordinaria.
In ospedale si “riparte” solo se sono disponibili un adeguato numero di DPI di adeguata tipologia in al rischio delle attività ed una riorganizzazione dei percorsi assistenziali.